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Giovedì 27 Novembre 2025
«Io, Tardelli e Fabregas. Il Como la mia scuola»
Christan Boscolo azzurro da baby, calciatore e allenatore. Ora al Renate: «Ho imparato tutto, anche fuori dal campo. Ecco perché abito ancora qui»
Non ci si può credere. Cosa? Che Cristian Boscolo abbia 52 anni. Per noi resta sempre Boscolino. Il ragazzino dalla faccia buona ma dal sorriso furbo, quello che fa le marachelle. Che da 40 anni vive a Como, in centro, e che ormai salutano anche i sassi. Boscolino non dimostra gli anni che ha, il sorriso è rimasto lo stesso, anche se nascosto da un velo di barba che non riesce ad alzargli l’età. Boscolo è appena uscito dalla sua terza carriera al Como, e la prendiamo come scusa per incontrarlo e farci una lunga chiacchierata.
Cristian, cosa ci fai a Renate?
Questa estate mi sono detto che che volevo provare ad allenare quelli “più grandi”, dopo anni tra Under 15 e 16. Il Renate mi ha dato questa possibilità. Alleno la Primavera 2.
Sceso dal treno superlusso del Como, la freccia azzurra che sorprende il mondo. Non deve essere stato facile.
Con il Como mi sono lasciato benissimo. Hanno capito che cercavo un upgrade.
Non deve essere stato facile, anche perché pure le giovanili adesso fanno parte del progetto tecnico di Fabregas.
Stanno facendo un lavoro mostruoso. Hanno cominciato con la Primavera, che ormai ricorda il modo di giocare di Fabregas, e ora hanno cominciato a trasferire quei concetti all’Under 17. La filosofia dovrà comprendere tutte le squadre.
Un po’ come ai tuoi tempi.
Uguale ma diverso.
Che ci facevi a Como, 13 anni, da solo?
Massola mi vide giocare in una partita di ragazzini prima di una gara del Padova. Chiamò la mia famiglia. Fece pressing. Alla fine li convinse. E arrivai a Como.
Dura.
Eh... Dormivamo nel college del Crocifisso, in camerata unica. D’estate invece ero ospite dei vari allenatori, ed era più dura perché non c’erano i coetanei. Quando spegnevo la luce, un magone... Avevo 13 anni eh.
Dicevamo del parallelo tra il progetto del settore giovanile di allora con quello di adesso.
Molto diversi, ma in un certo senso anche molto simili. Bisogna contestualizzare tutto. Allora si viveva quasi come in caserma. Il settore giovanile ti forgiava, ti faceva diventare uomo, faceva sì che tutti quelli che uscivano da quel mondo del Como fossero fatti della stessa pasta. Come carattere e come valori. In questo eri “Il Como”. Ed era una garanzia per gli allenatori della prima squadra, che ogni stagione avevano la possibilità o l’obbligo di far esordire qualcuno della Primavera.
Adesso?
Adesso c’è un marchio fabbrica ancora, e dunque la similitudine ci sta. Sono cambiati i tempi, oggi si lavora più su un imprinting tattico e filosofico. Allora anche le scarpette nere obbligatorie erano un insegnamento. Oggi magari ti mandano “affan”. Ma certo il Como lavora su una riconoscibilità di progetto come per noi allora.
Cosa ti ha insegnato quella esperienza?
Tutto. Da bambino a ragazzo a uomo. Como è casa mia, sono arrivato che facevo le medie, e sono ancora qui..
Personaggi.
La cosa bella è che c’erano caratteri diversi tra i “maestri”. Favini era il buon papà, Tosetti e Massola gli uomini duri, Rustignoli il mediatore. Intervenivano a seconda dell’esigenza.
Ricordi il tuo arrivo qui?
E come no? Il giorno di Como-Sampdoria semifinale di Coppa Italia del 1986. Come per un ragazzino di oggi arrivare adesso. Feci gol alla prima amichevole e non era facile per me. Chiamai casa: ho fatto gol. Sentii il boato in casa.
Poi?
Quattro anni formativi, sino al debutto in prima squadra nel 1990. A Casale. Allenatore Bersellini, uno molto ruvido. La partita in cui Centi segnò uno dei pochissimi gol della sua carriera. Lui era il play, ma siccome io avevo lo stesso ruolo in Primavera, quando entrai mi disse di stare io centrale e che si sarebbe spostato lui. Che uomo. Che modello.
Poi Frosio, Valdinoci, Burgnich, Tardelli.
Piano piano avevo più spazio, sinché diventai titolare l’anno della promozione in B con Tardelli. Il mio ricordo più bello.
Prima però ci fu, due anni prima, il debutto a San Siro, Coppa Italia, Inter-Como 2-2.
Indimenticabile. Quando entrai a tastare il prato rimasi senza fiato. Entrai dalla panchina, e dimenticai tutto, perché quando giochi ti concentri sulla partita. Ma che emozione. Fu la partita in cui il nostro portiere Fadoni, il secondo di Taibi, che giocò come premio visto che era milanese, incappò in una papera che diventò la sigla della Gialappa’s. Inciampò su una palla alta innocua, cadde, la palla gli rimbalzò sulla schiena e andò dentro. Negli spogliatoi fu impossibile non ridere. Avevamo pareggiato a San Siro, comunque.
La promozione in B.
Eravamo spensierati, incoscienti. Leggeri. C’era un clima perfetto.
Tardelli come Fabregas.
Sì, l’effetto di emozione e ammirazione che provai io quando entrò per la prima volta nello spogliatoio Tardelli è lo stesso che ho visto negli ragazzi della Primavera quando è entrato Fabregas. Con Tardelli avevo un rapporto splendido. La sua carriera da allenatore si è fermata presto. Fabregas è uno davvero speciale. Persino inutile che ve lo dica.
Qual è il suo segreto?
Se ne parla poco, ma per me è il preparare i giocatori a far sì che capiscano autonomamente quando è il momento di fare possesso e quando di aggredire in verticale. Il Como di Fabregas capisce i vari momenti della partita come nessun’altra squadra.
Torniamo alla promozione in B. Curiosità?
A Mantova corremmo per 100 minuti. Oh, avemmo anche una bella dose di culo eh... Zero a zero e passaggio del turno. La nostra fortuna fu che il regolamento era ingiusto, non premiava chi era arrivato secondo, come adesso. Si ripartiva da zero. Beh, dopo quella partita eravamo sfiniti, ma il giorno dopo andammo a giocare a tennis io e Catelli: iniziammo alle 21 e finimmo a mezzanotte. Per dire le energie e l’entusiasmo. Un altro al mio posto sarebbe rimasto sul divano a riposare.
La finale con la Spal.
C’è la riunione tecnica, ma io e un gruppetto di compagni arriviamo in ritardo. Tardelli allarga le braccia: “Anche oggi, per la finale?”. E Ciro Parente fa: “Scusi mister ma non riuscivamo a chiudere la partita di scala quaranta. Mancava un punto...”. Era la nostra forza. La leggerezza. Due anni dopo, quando perdemmo la finale con l’Empoli di Spalletti, non avevamo quella leggerezza. Tutti si aspettavano troppo da noi e fu un’altra storia, anche se perdemmo 1-0 a 7 minuti dalla fine. Però scrivemmo la storica Spal-Como 3-6: segnarono tutti tranne io...
Il preparatore della promozione era Onesti.
Un soldato. Faceva vomitare dalla fatica. Faceva dieci volte i mille metri, che se lo fai adesso ti tolgono il patentino. Ma era un altro calcio. Lui e Tardelli si integravano bene, uno duro, l’altro gestore morbido.
Personaggi dell’epoca.
Nelle giovanili ero amico del povero Fortunato. Aveva un carattere un po’ ruvido,ma fu la fortuna che gli fece fare un inizio di carriera fulminante, come la malattia che ce lo portò via. Collauto era uno dei miei migliori amici. Adesso ha aperto un ristorante al Lido di Venezia...
Marachelle e scherzi.
Ma guarda che non è vero eh... Sono sempre stato uno ligio al dovere. Al massimo un viaggio in scooter per andare a ballare al 2001. Ma mica nei giorni prima della partita...
Poi?
Mirabelli lo chiamavamo zio, era un buono. Catelli mio fratello, eravamo sempre insieme.
Gol fatti: uno.
A Pistoia, l’anno della promozione. Un 2-2.
Poi l’addio.
A metà del 1996-97 decisi che dovevo cambiare aria. Troppa routine, mi ero seduto. A gennaio andai al.. Lecco.
Porca miseria.
Prime due settimane difficili venivano al campo a protestare, ma poi andò bene, fummo promossi,e tutto si stemperò.
Lumezzane,.
Quattro anni con Beretta prima e Scanziani poi. Quattro anni belli, due volte ai playoff. Solo che fu la prima volta che venni al Sinigaglia da avversario. Per l’emozione rimediai due ammonizioni nel primo tempo e finii espulso. Roba da matti.
Maggio 2005, ultima di campionato decisiva per il Como, per non retrocedere, contro la Pro Patria piena di ex comaschi tra cui tu.
Il Como vinse 2-1, andò ai playout ma poi venne sconfitto dal Novara di Gattuso e andò in C2, prima di fallire. Si disse di tutto su quella partita, la verità è che avevamo stimoli diversi..
La seconda carriera al Como comincia del 2013-14.
Avevo cominciato ad allenare, mi chiamò Centi per farmi entrare nel settore giovanile. Prima una Under, poi la Berretti, però subito aggregato alla prima squadra a fare il tattico. E diventai il vice di Festa in B.
Poi di nuovo una separazione e il terzo ritorno.
Dovevo essere il vice di Ardito, ma poi arrivò Corda e rinunciammo. Ma entrai di nuovo quando arrivò questa società. E ho allenato i ragazzini sono alla scorsa estate.
Cosa ti è mancato per fare più carriera da giocatore?
Dieci cm di altezza e qualche gol. Ma sono orgoglioso delle mie oltre 400 presenze in C
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