Addio all’ex assessore Diego Peverelli
Como e la Lega le sue grandi passioni

Imprenditore e politico appassionato, sedette nella prima giunta del sindaco Bruni - Il ricordo dei colleghi: «Uomo straordinario». Fece parlare tutta Italia per il centralino in dialetto

Como

È mancato ieri nella sua casa di Breccia dopo una breve malattia Diego Peverelli, 83 anni, leghista della prima ora, consigliere di circoscrizione, consigliere comunale, quindi assessore, oltre che imprenditore proprietario della Gammatex, l’azienda chimico-tessile di Colverde fondata all’inizio degli anni Novanta.

Parlarne al passato è difficile, come in tutti i casi in cui una morte segni anche il tramonto di un’epoca. La sua fu prima quella della Lega di Bossi – epoca di idee e di spirito, e passione – poi quella, difficile e dolorosa, della transizione tra una vecchia leadership che si riteneva intoccabile e la leadership dei giovani (“la Lega dei ragazzini”, si diceva a Como) che all’inizio degli anni Duemila imboccarono un tortuoso cammino di risalita.

Diego, con il suo carattere brusco, le sue proverbiali sfuriate e la sua innata bontà, non fece mai mancare a nessuno il suo sostegno, non a quei “ragazzini” cui fu lieto di cedere il testimone convinto com’era che il futuro fosse già loro («insieme abbiamo gioito ma anche sofferto – ha scritto ieri su Facebook il deputato Nicola Molteni – Perdo un amico vero, sincero, genuino»), non alla città, cui riservò sempre energia, passione e un amore incondizionato. Consumava le suole delle scarpe macinando chilometri per cortili, vicoli, crocicchi, incontrava, ascoltava, brontolava, componeva minuziosissimi dossier zeppi di immagini di luoghi dimenticati e degradati, angoli di periferia cui capitava che l’amministrazione non badasse troppo, e lo faceva dando voce a chi non ce l’aveva, con quella sua predisposizione per gli ultimi, per i più deboli, che forse gli veniva da un passato lontanissimo speso – chi lo avrebbe mai detto – tra le fila del partito comunista, dove piaccia o meno la politica si faceva così.

Quei suoi dossier finivano sempre per approdare in redazione sul fare della sera o di primo mattino, negli orari più improbabili: «Telì chi i farfalloni - diceva rivolto ai cronisti di turno -, guardate cosa vi ho portato», e dentro, tra quei fogli, una miniera di notizie, di polemiche, di discussioni da scriverci per giorni, settimane.

«È stato un grande, un uomo dai principi morali e dalla rettitudine straordinaria», ricorda l’ex collega Fulvio Caradonna, che con lui sedette nella prima giunta del sindaco Stefano Bruni, «un uomo dal carattere burbero ma sincero, concreto, che amava moltissimo la città», per dirla con Nini Binda, lui pure ex assessore di quegli anni. Peverelli si fece conoscere in tutta Italia quando decise di istituire, a Palazzo Cernezzi, il centralino in dialetto. Ne era felice, e ne rideva sotto i baffi, convinto com’era - e a ragione - di avergliela fatta a tutti i benpensanti engagé che trovarono l’iniziativa fuori luogo.

«Benvegnù in dal sit del Comun de Comm», rispondeva la voce registrata al mitico 0312521. Ma l’acme dello spasso la raggiunse nel giugno del 2009, quando l’operazione dialetto gli riuscì addirittura con un matrimonio, di cui andò sempre orgogliosissimo: «Sciùr, a l’voor dir bel ciar de vuré ciapà cume mijéé la signurina che gh’é chì danànz e che la sa ciama...».

I funerali di Diego Peverelli sono in programma domani alle 15, nella parrocchiale della sua Breccia, la stessa in cui oltre vent’anni fa il destino lo costrinse a piangere il suo Corrado. La speranza dei tanti che gli hanno voluto bene - e che sanno quanto quella tragedia lo avesse segnato - è che ora sia felice davvero, da qualche parte di nuovo accanto a suo figlio.

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