«Attenti al turismo: Como non perda la propria identità»

L’intervista Parla il presidente di Fondazione Cariplo Giovanni Azzone: «Giovani in fuga, lavorate per attrarli»

Como vive un clamoroso paradosso: è una tra le città italiane più gettonate dai turisti di tutto il mondo, ma rischia di perdere per strada un’intera generazione di giovani e, con questa, la propria identità e la forza di coesione della comunità. «In effetti il pericolo c’è, è bene lavorarci sopra»: a dirlo è Giovanni Azzone, presidente della Fondazione Cariplo, i cui bandi Emblematici per l’anno nuovo puntano proprio sulla necessità di rendere più forti le comunità locali.

Presidente, secondo l’Istat la città di Como sarà l’unico capoluogo lombardo, con Varese, che da qui ai prossimi 10 anni perderà popolazione anziché conquistarne. Colpa del turismo?

Come tutti i fenomeni, il turismo ha una valenza positiva, ma anche negativa. Sicuramente va letto in modo integrato con le altre dinamiche che sono in corso: la più significativa è quella demografica: la curva , nei prossimi decenni, vedrà infatti una riduzione significativa della popolazione attiva. Questo si traduce in minore capacità di generare welfare e quindi una riduzione di quelle reti di sostegno che caratterizzavano le nostre città. Avere una comunità coesa consente di riattivare quelle reti di solidarietà. Il turismo rischia di rendere meno vivibile la città di Como, particolarmente fragile proprio perché attrattiva. Il turismo aumenta i costi degli alloggi, rendendoli inavvicinabili per i giovani. In questo modo si perde la generazione di mezzo, e in città resterebbero solo persone anziane.

Lei ha sottolineato i rischi del turismo mordi e fuggi… in effetti nel centro di Como questo lo si vede: sempre più case vacanze, sempre meno residenti. Come fare per evitare che la città perda la sua identità anche sociale?

Non ci sono risposte semplici per fenomeni complessi. Di certo è necessario costruire progetti di sviluppo della città. Lo strumento dei progetti Emblematici ha proprio la funzione di sviluppare la crescita, ma le idee devono nascere sul territorio, nessun esterno può dire a una comunità come crescere.

Nella presentazione del bando della Fondazione, lei ha più volte sottolineato l’importanza e il valore degli enti non profit. Qual è lo stato di salute del volontariato in generale in Lombardia e in particolare a Como?

Rappresenta la colonna portante del nostro territorio. Vale sicuramente per la provincia di Como, dove la presenza di un tessuto di volontariato, con alcune realtà assolutamente eccellenti, rappresenta un elemento fondamentale per la coesione sociale. Certo il volontariato è sottoposto a una serie di pressioni: manca il ricambio generazionale e c’è il tema dell’innovazione tecnologica che si fa pressante.

A Como i giovani hanno sottolineato un altro problema: la mancanza di luoghi di aggregazione. E non è un caso che da Como i giovani fuggano. Nonostante la presenza dell’università dell’Insubria, i ragazzi preferiscono spostarsi su Milano o verso altre città universitarie. Esiste un concreto pericolo che Como perda i suoi giovani?

Alcune dinamiche sono inevitabili: Milano è sempre stato un forte polo di attrazione, perché è una porta verso il mondo. Ma è importante che Como crei occasioni di allargamento di interessi per i giovani. L’università, ad esempio, io non la vedo come un luogo per rendere più agevole lo studio per chi abita sul territorio, bensì come costruttore di attrazione per ragazzi che arrivano da luoghi diversi. C’è bisogno di investimenti per rendere attrattivi i flussi in entrata: le barriere servono a poco. In questo Como è una città veramente attrattiva a livello internazionale: puntare su questa vocazione può essere una soluzione naturale.

Tocco il tema delle periferie. Ci sono quartieri difficili fuori dal centro, soprattutto per i ragazzi. Quali dei vostri bandi, a suo giudizio, sono più mirati per provare a intervenire in questi contesti?

Il mondo del welfare in azione tocca tanti temi, ma in particolare quello della povertà educativa, che è baricentrico. I ragazzi, oggi, sono persone abituate a una quantità di stimoli gigantesca, la scuola talvolta tende a formarli come le vecchie generazioni. Ma la scuola non è più l’unica forma di formazione e a questi ragazzi serve qualcuno che faccia da direttore di orchestra, per acquisire una capacità critica. Più che ai bandi penserei a un cambiamento di approccio.

A proposito di ragazzi, a Como sono scomparsi i giovani di Fridays for future. Dopo tre anni di eventi, iniziative, proteste, sono semplicemente spariti… si è persa la sensibilità per i temi ambientali?

No, non credo. Viviamo spesso di fenomeni che hanno momenti di crescita, poi arriva una fase di inerzia. Ma se guardiamo i dati, ad esempio, della raccolta differenziata, io credo che l’attenzione all’ambiente ci sia.

Povertà. Qual è lo stato di salute del territorio comasco su questo fronte?

I numeri in Lombardia sono abbastanza uniformi e ci dicono che ci sono molte persone a rischio di povertà assoluta. Come intervenire? Su tre livelli. Il primo immediato: un supporto ai bisogni fondamentali, che sono cibo e casa, senza i quali non si vive. Il secondo a medio termine: un’attenzione molto forte ai temi di lavoro inclusivo, perché il lavoro è lo strumento per emanciparsi dal rischio di povertà. Bisogna creare le condizioni perché le persone possano accedere al mondo del lavoro. Infine, il terzo, è il sistema educativo che deve garantire una formazione adeguata

Infine ha parlato di povertà culturale, altro tema ti grande attualità. Vede delle fragilità sui nostri territori?

Sinceramente no. C’è un sistema culturale vivo. Lo sforzo, forse, è fare in modo che l’accesso sia generalizzato. E torno al tema dei giovani. L’accesso alle opportunità culturali verso i giovani non è sempre così generalizzato e agevole. Servono linguaggi accettabili ai più giovani.

© RIPRODUZIONE RISERVATA