Botte e violenza alla moglie, 8 anni e mezzo

La sentenza L’uomo, 35 anni, di nazionalità marocchina, le impediva di uscire e la picchiava anche in gravidanza. Processo scaturito da una denuncia di lei per fatti risalenti al 2020. Ieri la sentenza: la donna dovrà essere risarcita

Como

La moglie, esausta di quella vita, era scappata di casa. Non ne poteva più di quel marito di 35 anni, di origine marocchina come lei, che non solo le rendeva la quotidianità difficile, impedendole di avere amici, di conoscere altra gente, di poter anche solo fermarsi un po’ a guardare i social sul cellulare, ma che la picchiava anche – non fermandosi nemmeno di fronte allo stato di gravidanza – e che abusava sessualmente di lei contro la sua volontà.

La ricostruzione

Nel 2019 e nel 2020, i due anni finiti al centro dell’attenzione di una indagine della Procura di Como, la situazione era diventata particolarmente insopportabile, così a novembre del 2020 la moglie – coetanea del marito – aveva deciso di lasciare l’abitazione e di scappare. Anche perché quando in precedenza aveva comunicato al compagno l’intenzione di porre termine alla loro relazione, la reazione era stata violenta.

L’uomo l’aveva minacciata, le aveva urlato che le avrebbe sfregiato il volto, aveva poi annunciato che avrebbe pubblicato sui social le foto intime della donna.

Insomma, nell’ambito di una storia di quelle che vengono identificate con il “codice rosso”, il fascicolo di cui stiamo scrivendo si è allungato fino ad un’aula di tribunale con il marito che non ha voluto affrontare alcun rito alternativo.

L’epilogo, avvenuto in queste ore, è stato degno di nota: il collegio del Tribunale di Como presieduto dal giudice Valeria Costi (a latere Daniela Failoni e Maria Lombardi Stocchetti) ha infatti condannato l’imputato – accusato di maltrattamenti in famiglia e violenza sessuale (aggravati dall’aver commesso il fatto nei confronti del coniuge e anche durante il periodo di gravidanza – alla pena di otto anni e mezzo di reclusione.

Sono dunque state accolte quelle che erano state le richieste del pubblico ministero Giuseppe Rose che aveva coordinato le indagini. In aula, costituita come parte civile assistita dall’avvocato Annalisa Abate, c’era anche la moglie che si è vista riconoscere un risarcimento del danno provvisionale (in vista di una futura definizione in sede civile) che è stato quantificato in 20 mila euro.

Non sono ovviamente ancora note le motivazioni della sentenza, che ora il marito potrà – se lo riterrà opportuno – impugnare di fronte ai giudici di secondo grado dell’appello.

Violenza e maltrattamenti

Le accuse, come detto, parlavano di violenza sessuale (per le percosse con cui la moglie veniva costretta «contro la sua volontà» e anche in gravidanza ad avere rapporti sessuali) e di maltrattamenti in famiglia proseguiti per due anni, dal 2019 alla fine del 2020. Mesi in cui la signora non aveva potuto avere amicizie (che dovevano essere approvate dal marito) e in cui le era impedito anche semplicemente consultare il telefono cellulare, oppure uscire senza il consenso del compagno. Vessazioni che l’avevano convinta a interrompere la relazione e poi, per le minacce del marito, a scappare di casa raccontando tutto alla polizia giudiziaria.

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