Carducci, l’appello: «Basta accuse»

Como Parla Livia Porta, nipote di Enrico Musa. Fu lui il fondatore dell’associazione e del museo “Casartelli”: «Il civico 5 di via Cavallotti è del Comune, esposizione inclusa. Il 7, invece, per le attività. Spero si ricomponga tutto»

Il nome “Carducci” l’ha sentito fin da quando era bambina e può vantare di essere socia, senza interruzioni, dal 1945 («Avevo sei anni e mamma mi tesserò dicendo che sarei stata socia perenne»). Del palazzo di viale Cavallotti conosce tutti i dettagli. Del resto fu suo nonno, Enrico Musa, a creare il “Carducci” e il “Museo Casartelli” e fu sua mamma, Carla Porta Musa, a seguirlo (pur senza mai avere cariche). E fu lei, Livia Porta, pediatra ma grande amante della cultura, a presiedere (come prima donna) l’associazione dal 2010 al 2017. «La premessa - racconta oggi, quando il Carducci è al centro di un braccio di ferro tra Palazzo Cernezzi e i vertici dell’associazione - è che per me si deve sempre lavorare al fianco della pubblica amministrazione. La mia filosofia, e mi sono occupata di musei non solo a Como, ma in diverse città italiane, è quella di un bellissimo lavoro di volontariato culturale accanto al pubblico».

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Poi entra nel merito delle diatribe in corso. «I due palazzi di viale Cavallotti, i civici 5 e 7, vennero concessi al Comune, non donati, nel 1930 (il 13 febbraio, per la precisione, ndr) poiché il nonno, come tanti a quell’epoca, con la crisi del 1929 non riusciva più a ripianare i debiti con la Cassa di Risparmio. E così disse al Comune che erano suoi ad eccezione di una parte del civico 7. Sono certa che il numero 5, dove c’erano le Magistrali, è totalmente del Comune, Museo Casartelli incluso. Su questo aspetto il Comune ha ragione».

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«Mai pensato fosse nostro»

Ricorda quando, con la sua presidenza, vennero organizzate visite guidate per le scuole e altre iniziative: «Nel 2010 avevo chiesto al Comune, allora il sindaco era Bruni, il permesso per una gestione che ci consentisse di portare le scolaresche in visita e l'utilizzo per eventi come “la notte dei musei” e “la notte dei ricercatori”. È tutto documentato, con tanto di frequentazione annua che ricordo, il primo anno fu tra le 700 e le 800 persone. Non ci siamo mai sognati che fosse del Carducci».

Archivio da digitalizzare

E ancora. «Ricordo bene che quando avevamo eventi la sera telefonavamo all’università e c’era un signore che veniva a togliere l’allarme. Restava fino alla fine, ci salutavamo, gli davamo le chiavi e lui rimetteva l’allarme». Proprio quelle chiavi che oggi il Comune, attraverso una lettera formale, ha richiesto ai vertici attuali dell’associazione. Altra questione dibattuta è quella del pagamento delle utenze, su cui Porta non entra nel merito: «All’inizio non erano divise dall’università, poi si fecero i conteggi e noi facemmo anche una controproposta e la questione passò poi all’avvocato Papa, mio successore, che fece ricorso».

E oggi cosa si aspetta per il Carducci colei che ha sentito prima i racconti e poi l’ha vissuto? «Auspico - dice - che tutto si ricomponga. Il Carducci e l’Auser hanno gli spazi al numero 7 e lì l’attuale presidente, estremamente attiva nell’organizzare iniziative anche molto diverse da quelle del passato, ma importanti per farlo vivere, può continuare a farlo. Il salone è utilizzabile concordandone l’uso, mentre il civico 5 è del Comune che, secondo me, può fare quello che vuole. Spero però che si porti avanti quel meraviglioso lavoro di digitalizzazione dell’archivio che stava facendo Magda Noseda, che so aver dato le dimissioni recentemente».

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