Come in un film. Dal ricovero ai fendenti: Omar, venti ore di follia

Giovedì da incubo I sedativi in ospedale, il bimbo ferito, l’incursione al Bennet. La ricostruzione della giornata del giovane fino all’arresto in via Giussani

Ieri è stato possibile fare un po’ d’ordine nella ricostruzione degli eventi sfociati nel ritrovamento del corpo di Giuseppe Mazza, l’anziano morto ammazzato nella sua auto posteggiata accanto alle elementari di via Giussani. L’arresto di Omar Querenzi, fermato dalla polizia prima ancora che si scoprisse l’omicidio per il quale è indagato, chiude una finestra di circa venti ore di perfetto delirio, una sorta di carosello infestato di spettri, un girotondo senza capo né coda che sembra dire qualcosa - se non tutto - dello stato in cui questo trentenne dal passato turbolento si è mosso da San Fermo a via Giussani.

L’accesso al Sant’Anna

Dunque: Omar arriva al Sant’Anna mercoledì sera, presentandosi al pronto soccorso in uno stato di evidente alterazione: ha assunto sostanze i cui effetti i medici del “ps” cercano di contrastare somministrandogli le cure cui si ricorre in questi casi, e che nelle loro buone intenzioni dovrebbero aiutarlo a ritornare sulla terra. Lui se ne sta moderatamente quieto tutta notte senza mai apparire davvero pericoloso, poi però, al mattino, alza i tacchi e se ne va prima di essere formalmente dimesso.

Sono più o meno le 10.30 e cosa gli passi per la testa rimane per ora un mistero: alla fermata del bus di fronte all’ospedale incontra un bambino, e con il bambino un uomo che si rivelerà poi esserne lo zio. Il bimbo - che con la famiglia abita nell’Erbese - ha otto anni e sta giocando con lo smartphone. Omar gli si avvicina e senza proferire mezza parola lo colpisce due volte, prima al petto - senza ferirlo - quindi a un avambraccio, causandogli con il coccio di una bottiglia una ferita non grave, ma che di lì a pochi minuti richiederà comunque qualche punto di sutura. Sono frazioni di secondo, attimi di stupore resi se possibile ancor più terrificanti dall’atteggiamento indifferente di quel tipo che, come in una lunga sequenza cinematografica, si allontana con calma senza mai accelerare il passo.

La descrizione dello squinternato che senza motivo ha ferito il bimbo. Pantaloni corti, maglietta blu e grigia, corporatura snella, statura nella media

Lo zio, invece, accelera eccome, e corre a chiedere aiuto. Così il papà del bambino a La Provincia: «Ero da poco entrato in ospedale per prenotare una visita, e poiché di questi tempi e con questo Covid è ancora meglio usare un po’ di cautela, ho chiesto a mio fratello di aspettare fuori con mio figlio...». Il bimbo viene rassicurato dagli agenti dell’Anticrimine in servizio al posto di polizia dell’ospedale, i quali provano a consolarlo regalandogli qualche caramella. Lo rassicurano, i poliziotti, e lo affidano alle cure del pronto soccorso non prima di avere raccolto una descrizione dello squinternato che senza motivo l’ha ferito. Pantaloni corti, maglietta blu e grigia, corporatura snella, statura nella media - un metro e 70 circa -, età sulla trentina: l’ispettore di turno impiega un secondo e mezzo a ricondurre la descrizione al nome di Omar, due a diffondere a tutte le volanti le note di ricerca che a quel punto rimbalzano da San Fermo alla centrale operativa della questura.

Querenzi intanto, sempre in compagnia dei suoi spettri, ha già raggiunto il posteggio del Bennet di Montano. Non ha l’aria di essere uno che sappia dove andare. Individua una famigliola: c’è la mamma, ci sono i bambini. Fa male pensare a quel che sarebbe potuto accadere, al pericolo che hanno corso. Per fortuna, però, qualcuno guarda giù. Lui si limita a minacciarli, a prenderli a male, incomprensibili parole, poi a piedi riprende il suo cammino verso Como senza aver torto loro un capello.

L’ultimo atto

«Scusa, sai dirmi dov’è il vecchio ospedale?». L’altro risponde, lui lo colpisce, un pugno al collo, sferrato serrando tra le dita un altro coccio

Percorre tutta via Varesina fino al sottopasso. Le macchine a decine gli sfrecciano accanto senza che nessuno gli badi, ché del resto chi poteva immaginare. Oltrepassa l’intersezione con via Colombo, oltrepassa il grande rondò dopo la Magistri, cammina fino al semaforo, poi svolta a destra dove via Giussani scivola giù verso la Ca’ Morta. Mancano pochi minuti a mezzogiorno quando alla pensilina della Coop, Querenzi individua quel ragazzo originario del Salvador: «Scusa, sai dirmi dov’è il vecchio ospedale?». L’altro risponde, lui lo colpisce, un pugno al collo, sferrato serrando tra le dita un altro coccio, quindi - con lo stesso passo lento e cadenzato, e però anche inesorabile, senza un’ombra di incertezza, quasi che nulla vi fosse da cui fuggire -, Omar torna sui suoi passi e risale lungo la stessa via Giussani.

Siamo ai titoli di coda. Passeranno circa dieci, dodici minuti prima che due agenti delle volanti lo individuino pochi metri oltre la scuola, immobilizzandolo e caricandoselo in macchina. Non possono sapere che lì, a pochi metri da loro, nel posteggio delle elementari c’è già una piccola, vecchia Volksawagen “Lupo” cui nessuno fa caso.

Meno di cinque ore più tardi, un ragazzo che abita in via Spartaco varcherà lo sgangherato cancelletto pedonale che segna il confine tra quelle scalcinate case popolari e il posteggio della scuola, scoprendo che l’uomo al volante di quell’auto è morto stecchito. Il movente? Chissà. Forse - sospettano in procura - uno qualunque di quei fantasmi.

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