
Cronaca / Como città
Domenica 20 Luglio 2025
Coraggioso e sensibile: l’asino da rivalutare
Inauguriamo una nuova rubrica: un bestiario antropologico e letterario che ci porterà a scoprire i valori simbolici e reali di ventuno specie. Partiamo dal primo animale addomesticato in Africa quattromila anni fa

L’asino, insieme al cavallo e alla zebra, appartiene alla famiglia degli equidi, che fa parte dell’ordine dei perissodattili. In condizione di domesticazione è possibile produrre ibridi tra tutte le specie di equidi, ma la prole è quasi sempre sterile. L’incrocio tra la cavalla e l’asino determina il mulo; quello tra cavallo e asina il bardotto. Animale sociale e territoriale, l’asino allo stato selvatico vive in gruppi stabili con maschio riproduttore dominante o in compagini più fluide e meno strutturate. Comunica in vari modi: con le orecchie lunghe e sensibili, con la postura, col raglio percepibile fino a tre chilometri di distanza. È un animale coraggioso: non scappa di fronte al nemico. Straordinaria è la sua sensibilità, che gli consente di stabilire relazioni profonde con chi è svantaggiato a livello fisico e psicologico (la cosiddetta onoterapia).
La sua origine è in Africa - dove due sono le specie selvatiche, la somala e la nubiana - e in Asia. La domesticazione è avvenuta intorno al 4000 a.C., nel nord est del continente africano, prima di quella del cavallo e del cammello. Tra le specie, è l’unica domesticata in Africa. Come spiega Jill Bough in “L’asino” (edito da Nottetempo), la domesticazione è la risposta alla progressiva aridità della regione e alla maggiore irregolarità delle piogge. L’asino è resistente alla fatica, alle alte temperature, ai terreni aridi e rocciosi, è poco incline ad ammalarsi, in grado sia di economizzare l’acqua riducendo la sudorazione e l’evacuazione, sia di reidratarsi velocemente.
L’essere di aiuto è la sua funzione primaria: gli asini servono come animali da tiro, per difendere le greggi, per la guerra – sono i sumeri a legarli ai carri - e per trasportare merci e uomini, segno inequivocabile dell’avvio di attività mercantili che dalla Mezzaluna fertile e dal Levante si spingono verso le società mediterranee, indiane e cinesi. Dell’asino si sfruttano il latte (è il più simile a quello umano), per le qualità mediche e cosmetiche, e la carne.
La demonizzazione
La sua sacralità, nell’antico Egitto, è tale che le orecchie, rappresentate come piume poste all’estremità di uno scettro, diventano l’emblema della sovranità. Nel III millennio accompagnano i re nell’aldilà, come sembrano testimoniare i dieci scheletri di asino ritrovati ad Abydos, luogo di sepoltura dei primi faraoni, legato al culto di Osiride. Ma, alla fine del Medio Regno, intorno all’inizio del II millennio, l’invasione degli Hyksos disgrega la società egizia e conduce all’uso schiavistico degli ebrei e dei loro asini. Nello stesso tempo Seth, raffigurato con testa d’asino, da dio del deserto potente e venerato cade in disgrazia, diventando un potere oscuro, l’assassino di Osiride.
È l’inizio del mito dell’asino rosso, ovvero della demonizzazione dell’asino, che prosegue con i greci, che collegano Seth al malvagio Tifone e collocano il dio Sileno – metà uomo e metà asino – nel seguito di Dioniso. Così, pur fondamentale per l’economia (la viticoltura) e per le operazioni militari, l’asino decade presso i greci e i romani, che lo retrocedono ad uno status inferiore, quello schiavile. Si diffonde l’idea che l’asino sia lubrico, indolente, ottuso e poco intelligente, come è compendiato da Apuleio ne “L’asino d’oro” (160 d.C.). I bestiari medievali, dal Fisiologo in avanti, confermano: gli asini sono melanconici, pesanti, goffi e lenti. Ma anche ctonii, manifestazioni del demoniaco. La tradizione giudeo-cristiana ed islamica però procede in direzione opposta, determinando l’ambiguità del simbolo. Nella Bibbia ci sono 153 riferimenti all’asino, più di ogni altro animale. L’asina di Balaam - in “Numeri” - si inginocchia davanti all’angelo prima dell’uomo. Nel cristianesimo gli asini diventano esempi di pietà e di umiltà (ma il raglio dell’onagro – l’asino selvatico - è interpretato come la voce del diavolo). Cavalcando l’asino Maria giunge a Betlemme e poi fugge in Egitto per evitare la persecuzione di Erode; con un’asina, coperta da un panno bianco, Gesù entra a Gerusalemme nella Domenica delle Palme. A fianco del bue, secondo un’indicazione che compare dal V secolo, sta l’asino nel presepe. La leggenda vuole che la croce sul dorso dell’asino provenga dall’ombra del patibolo di Cristo. Nella tradizione islamica ci sono molti asini parlanti, Maometto stesso parla con il suo asino Yafur. La duplicità dell’asino trova riscontri nella letteratura e nella filosofia. L’asino di Buridano (XIV secolo) muore perché non si decide se mangiare avena o bere acqua, nei drammi liturgici medievali è il “divino buffone”.
Nel Rinascimento è l’animale stolto e osceno, come affermano Leonardo da Vinci nelle “Favole” e Giordano Bruno nel “Candelaio”. Shakespeare in “Sogno di una notte di mezza estate” fa dell’asino un animale mediocre che non sa godere le cose più belle della vita. Cervantes ha un atteggiamento più positivo: il ciuco porta stabilità e felicità nella vita di Sancho Panza. Per incontrare un cambio di paradigma bisogna arrivare all’Ottocento, quando verso l’asino si manifesta pietà, come scrive Stevenson in “Viaggio nelle Cévennes in compagnia di un asino”. Ma ancora in “Pinocchio”, Collodi si serve dell’asino per marchiare i ragazzi renitenti all’ordine costituito. Culmine del rapporto empatico è un film, “Au Hasard Balthasar” (1966), di Robert Bresson, dove l’asino tormentato diventa simbolo di purezza e di umiltà. I mutamenti nella percezione riflettono quanto accade nella vita quotidiana.
La concorrenza del cavallo
Dal medioevo in avanti pesa il confronto col cavallo: cavalcare un asino “è segno di penuria, di mancanza di status, perfino di stupidità”. Ma gioca la sua parte anche il confronto con il mulo, preferito all’asino perchè più resistente alla fatica e, anche, per la presenza più nobile. La tradizione racconta che il carro funebre di Alessandro Magno, da Babilonia ad Alessandria, è trainato da 64 muli. Nell’Europa medievale i muli sono apprezzati dalle classi alte: i vescovi li cavalcano, come Salomone che montò sulla mula del re Davide; così fanno i papi avignonesi. Benozzo Gozzoli nel “Corteo dei Magi”, raffigura i vertici dei Medici in sella a dei muli.
L’asino, che contribuisce alla conquista dell’America, dove arriva con il secondo viaggio di Colombo, nel 1495, soffre la concorrenza del mulo negli Stati Uniti, in cui è stato diffuso da George Washington, che ha ricevuto in dono dal re di Spagna Carlo III due magnifici esemplari di asino andaluso, origine di numerosi ibridi. Non a caso, la conquista del West, a differenza di quanto raccontato dal cinema, si fa con i muli non con i cavalli. Asini e muli sono ovunque in competizione: i primi hanno contribuito alla colonizzazione dell’“outback” australiano ma, esaurita la loro funzione, lasciati allo stato brado, sono stati massacrati. La stessa situazione si verifica in Sudafrica.
Nelle operazioni militari vengono preferiti i muli, perché più forti e meno bisognosi di foraggio: così nella Grande Guerra sono fondamentali sul fronte italiano; nella Seconda Guerra Mondiale, durante la campagna americana in Birmania, vengono lanciati col paracadute. A molti di loro, per evitare di essere localizzati, sono tagliate le corde vocali, li definiscono “muli furtivi”. Oggi ci sono 185 razze di asini, più della metà europee, molte a rischio di estinzione. Gli asini sono in totale 41 milioni, ma la loro utilità è diminuita. Ad averne segnato il declino è la meccanizzazione. Forse, alcune razze – soprattutto le più piccole - potrebbero avere un futuro come animali da compagnia.
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