I negozi di vicinato sono sempre meno. Spariti in venti Comuni comaschi: ora a Como tocca all’alimentari di via Villini

L’allarme Nel capoluogo oggi ce ne sono 1.912: 177 alimentari, 1.509 di altri generi e 226 misti. Casartelli (Confesercenti): «Molti esercenti aspettano la pensione e non saranno rimpiazzati». Franca Ballabio: «Sto dietro al banco da quando avevo nove anni»

Addio negozi di vicinato, quelli che puoi raggiungere a piedi e dove trovi un po’ di tutto. Il loro destino - secondo la rilevazione, aggiornata al 30 giugno scorso, di Regione Lombardia sui punti di vendita del commercio al dettaglio in sede fissa - pare essere segnato. Da dieci anni è infatti in atto una lenta agonia di queste realtà commerciali a vantaggio della grande distribuzione e del commercio on line. La provincia di Como non si salva. A giugno la Regione censiva 20 Comuni comaschi privi di negozi di vicinato, in tutta la Lombardia erano 150: poco meno di 130 dieci anni fa.

I centri più penalizzati sono quelli piccoli, montani, lontani dalle reti viarie importanti, o vicini alla grande distribuzione che si mangia tutta la clientela, benché la rilevazione registri un lievissimo calo, pure di quella, visto che il numero delle strutture di vendita con una superficie di oltre quattro milioni di metri quadrati è passato da 478 a 475.

La situazione

Oggi a Como ci sono, secondo i calcoli regionali, 177 negozi alimentari, 1.509 non alimentari, 226 misti per un totale di 1.912 attività di vicinato. Che è come dire che c’è un negozio di alimentari ogni 468 abitanti, un non alimentare ogni 54 abitanti e uno ogni 367 abitanti che vende alimentari e non. Claudio Casartelli, presidente di Confesercenti Como, ha ben presente il tema che «è molto sentito da circa dieci anni soprattutto dove c’è la grande distribuzione, che ha sottratto linfa ai negozi, e nelle aree montane – spiega - dove non ci sono clienti sufficienti. É una questione che abbiamo già affrontato con la Regione per capire se si possano dare incentivi ai negozianti. Le indicazioni sono interessanti, anche se nessuno ha la bacchetta magica».

La rigenerazione urbana

Il presidente si riferisce alla «rigenerazione urbana, cioè al come ricreare le condizioni perché i giovani riaprano negozi di vicinato. Forse questa è la strada maestra, mentre nei piccoli paesini, abbiamo suggerito di potenziare la presenza degli ambulanti, così che possano coprire più territori dove nemmeno la rigenerazione urbana può funzionare».

Casartelli entra nel dettaglio: «Temevamo che la pandemia raddoppiasse l’emorragia di piccoli negozi, invece il sistema ha tenuto anche se crollerà perché alcune attività restano aperte grazie a chi aspetta la pensione e non sarà sostituito dai giovani». La motivazione non è una sola, ma tra le altre c’è «il non interesse dei giovani per un lavoro di sacrificio, che darebbe anche un ritorno economico, ma che impegna 6 giorni su 7, richiede forza e nuove idee. Certo, anche i margini di guadagno sono inferiori a prima, ma questo non è l’unico deterrente, c’è anche la liberalizzazione delle licenze che non ha aiutato.

Non si tornerà più ad avere i negozi di prima, possiamo solo adeguarci – conclude - C’è stata una fase in cui le istituzioni hanno lasciato molto spazio alla grande distribuzione e all’on line, ma da 5 anni la Regione sta invertendo la tendenza; ha capito il valore dei negozi di vicinato per gli anziani e per chi non può muoversi, né comprare on line, ma anche la loro funzione di presidio del territorio».

La chiusura del mini market dopo 62 anni

Dopo 62 anni passati dietro il banco del loro alimentari di via Dei Villini, il 4 novembre offriranno ai clienti l’aperitivo d’addio: Franca Ballabio e il marito Guido abbasseranno la saracinesca. A 71 anni lei, e 69 lui hanno deciso di chiudere e salutare i tanti clienti diventati amici, tra i quali ci sono stati anche José Mourinho, Claudio Gentile, Ruben Sosa, Ivan Cordoba, solo per citare qualche nome vip. «Se ne va un pezzo di storia, e lo dico con tanta modestia e umiltà, ma è così – spiega Franca – Sto dietro il banco da quando avevo 9 anni, sono cresciuta qui, nel negozio che hanno aperto i miei genitori e dove, nell’84, sono subentrata con mio marito, senza il quale non sarei riuscita a portare avanti l’attività. L’età ci dice di smettere. Nostro figlio si è laureato in Bocconi e ha scelto un’altra strada: dopo due generazioni, il negozio chiude, con grandissimo dispiacere. Ho scritto a mano un bigliettino per ringraziare tutti i miei clienti, lo metterò negli ultimi sacchetti della spesa. I clienti a noi hanno dato tantissimo».

Franca e Guido hanno garantito sempre anche «la consegna a domicilio e durante il Covid tanti senza di noi sarebbero stati sguarniti. Penso alle persone di 80 anni che ora mi chiedono: come faremo?». Un interessamento alla bottega c’era stato, ma «un’azienda svizzera voleva rilevare il nostro negozio, poi mi ha detto “troppa la burocrazia, non lo rilevo”. La burocrazia è uno dei problemi che fanno chiudere i negozi di vicinato. Un giovane, come fa? Gli serve capitale, deve assumersi il rischio, la burocrazia lo soffoca. E intanto nei rioni non resta più nessun negozio. Dallo stadio a Monte Olimpino non ci sarà più un alimentari. Ci sono tanti operai che chiedono dove compreranno i panini per il pranzo. Sappiamo cosa piace ai nostri clienti, uno per uno, e li serviamo di conseguenza, la grande distribuzione non lo può fare, anche se non ci ha mai danneggiato. Il rapporto umano conta».

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