Il primario del Valduce: «Pazienti ricoverati più a lungo del dovuto. Siamo costretti a farlo per coprire i costi»

Sanità e soldi pubblici La denuncia viene da Franco Radaelli, primario di Gastroenterologia: «I rimborsi regionali spesso non ripagano nemmeno il materiale, bisogna aggiornare le tariffe»

Per coprire i costi di alcune procedure sanitarie gli ospedali sono costretti a tenere i pazienti in corsia più a lungo rispetto al necessario.

I cittadini che hanno provato l’esperienza di un ricovero in ospedale, alle volte in effetti hanno l’impressione che i medici tengano i malati in reparto più a lungo senza motivo. Oppure, al contrario, che li mettano in fretta alla porta.

Distorsioni nel sistema

La ragione - ovviamente non sempre - è economica. Così ha spiegato senza giri di parole il primario della Gastroenterologia del Valduce Franco Radaelli durante al convegno “Salute, un bene per il territorio”, organizzato da FederFarma in Camera di Commercio.

«Per alcuni interventi e anche per molte prestazioni ambulatoriali – ha detto Radaelli – i rimborsi regionali non riescono a coprire nemmeno i costi dei materiali che utilizziamo. Le spese vive intendo. E questo crea delle distorsioni nel sistema. Per esempio, per un calcolo delle vie biliari basterebbe un ricovero di una notte, ma a oggi siamo costretti a trattenere i pazienti anche due o tre giorni per riuscire a ottenere dei rimborsi che coprano in parte i costi dell’intervento. È chiaro che così andiamo contro l’efficienza. La stessa cosa succede per la colonscopia quando viene usata per interventi operativi, è un servizio che va a svantaggio del presidio che lo propone. Serve un aggiornamento delle tariffe».

Ne consegue che il privato accreditato per ovvi motivi si sposta verso le prestazioni che sono più remunerative. Così facendo però le liste d’attesa per alcuni controlli e alcuni interventi si allungano, perché c’è meno offerta. Ed infatti nel suo intervento Radelli ha detto che è «inaccettabile che ci vogliano sei mesi per una colonscopia e anche otto o nove mesi per una gastroscopia».

Il tetto delle tre notti

In realtà anni fa una riforma aveva stabilito che gli ospedali dovessero essere pagati dal sistema pubblico non più in base ai giorni di degenza dei pazienti, ma in base al tipo di prestazione. «Sì è così – dice ancora Radaelli –se un paziente dopo un intervento sta in corsia venti o trenta giorni all’ospedale viene riconosciuta la stessa tariffa stabilita per quella determinata operazione. Ma sotto a un certo tetto, sotto alle tre notti, scattano delle decurtazioni tali da non coprire come detto nemmeno i costi di alcune prestazioni. E questo meccanismo alla fine ci costringe a decidere cosa è più conveniente fare».

Se lasciare in reparto il paziente o dimetterlo in fretta, perché un letto occupato rappresenta dei costi ingenti per un ospedale accreditato. Il primario comasco comunque rivendica la missione del Valduce, un ente non profit che bada alla salute della persona e non a meri calcoli economici e che non ha le spalle coperte dalla Regione e dal pubblico.

L’ospedale di via Dante continua a erogare anche quelle prestazioni che sono meno vantaggiose. Ma con i bilanci devono fare i conti e spesso è complicato. Il presidio ospedaliero in centro a Como deve anche far fronte ai tanti anziani pluripatologici che non possono essere dimessi per molti giorni, in strutture di cura intermedie, sottraendo al Valduce spazi, posti letto e, di nuovo, rimborsi.

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