Il tessile comasco
«Il 4 maggio è tardi
Bisogna riaprire lunedì»

Le aziende comasche sollecitano ancora una volta il governo L’imprenditore Curti: «Rischiamo di lasciare a casa migliaia di persone»

Si riparte non prima del 4 maggio: ieri il messaggio di Conte è stato ribadito anche in Parlamento, ma i due distretti chiave di Como non demordono. Il tessile cerca di scuotere il governo, l’arredo confida ancora in un piccolo spiraglio per il 27 aprile. Oggi il premier incontra gli enti locali nella cabina di regia.

Le decisioni

Ieri Conte aveva già messo in chiaro su Facebook che le misure restrittive sono in vigore fino al 4 maggio. E che il programma relativo alla fase 2 deve avere «un’impronta nazionale» con linee guida omogenee per tutte le Regioni.

Nelle prossime ore emergeranno altri dettagli, ma tra le amarezze del territorio lariano ci sono due consapevolezze. La prima è aver predisposto tutte le misure per la sicurezza. La seconda è di non avere un problema considerato cruciale dagli esperti: quello dei trasporti pubblici. Molti lavoratori comaschi vanno in auto in azienda, ma persino a piedi e in bici.

Nel distretto di Prato la tensione è stata alle stelle per le mail inviate da decine di aziende alla Prefettura: si era pronti a ripartire lo stesso, con una sorta di disobbedienza civile.

A Como c’è molta preoccupazione di fronte a una nuova attesa fino a maggio. Federico Curti, presidente della Stamperia di Cassina Rizzardi, ieri ha anche fatto quella che più che una provocazione ha chiamato «grido di dolore». Ha diffuso una comunicazione informale a Confindustria, sindacati, colleghi per mettere in guardia su ciò che accadrà di fronte a un perdurare della chiusura. Finita la cassa c’è il pericolo di una crisi pesante, con tanto di richieste di mobilità, di cui ha allegato un facsimile.

«Dobbiamo renderci conto – osserva Curti – che qui se non si apre nei prossimi giorni, si rischia di avere anche il 50% di disoccupati nella filiera tessile. Dieci giorni in più o meno sono la vita per noi». Questo anche per la stagione che cambia. Il pericolo è di veder andare in fumo tra i 5 e gli 8mila posti di lavoro (gli addetti oggi, esclusi gli artigiani, sono circa 16mila) in caso di prolungata chiusura.

Curti ha scritto ai colleghi perché insieme si faccia sentire così la propria voce. Qualcuno gli ha già risposto. «Noi siamo pronti per riaprire – spiega ancora l‘imprenditore – Abbiamo adottato tutti i protocolli di sicurezza. Quando costa tutto questo? Non importa, per i nostri 300 lavoratori. Abbiamo rivisto gli spazi negli uffici. Chi non se la sente di venire, può avere il permesso retribuito». La mail mandata ieri da Curti non è una minaccia. Lui ci tiene, ai suoi collaboratori: «Dico solo che bisogna mandare questo messaggio al governo, per fare pressione. Se non interviene, questo sistema non può stare in piedi». E conclude: «Il turismo è stato duramente colpito. Ma quando si tornerà alla normalità, nessuno ci toglierà il lago di Como, o le Dolomiti avranno sempre il loro appeal. Invece, nel sistema della moda gli altri Paesi stanno lavorando… e il mercato che se ne andrà, non tornerà più».

L’ultima chiamata

Ieri il presidente di FederlegnoArredo Emanuele Orsini aveva ribadito che il 27 aprile bisognava riaprire. Che c’erano aziende pronte a ribellarsi in caso contrario.

Un’ulteriore preoccupazione grava: quella di un’apertura differenziata, con lotte tra i distretti. Nino Anzani, vicepresidente vicario di FedelegnoArredoEventi, lo rimarca: «Deve riaprire tuta l’Italia, non è possibile che ci si faccia concorrenza con Puglia o Veneto. E noi abbiamo ancora una speranza riposta in lunedì prossimo. Dev’essere riaperta tutta la filiera, perché se lavora la parte industriale e poi mancano fornitori e distribuzione, è inutile». Il legno dal 14 sta già lavorando, perché ritenuto a basso rischio. E l’arredo? Certo, c’è un altro problema: se tutto il mondo è fermo, la ripresa sarà più difficile.

«Noi siamo pronti, abbiamo predisposto tutte le misure per riaprire – osserva Anzani, che guida la Poliform con i cugini Alberto e Aldo Spinelli – Abbiamo anche acquisito 40mila mascherine, anzi ne abbiamo date anche alle forze dell’ordine e a chi era in difficoltà». (Marilena Lualdi)

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