
(Foto di ufficio stampa diocesi di como)
La polemica Cantoni conferma il proprio appoggio al parroco di Rebbio contestato da Rapinese: «Invito a una profonda pacificazione e al dialogo»
Como
A una settimana dalla “Como disumana” di don Giusto Della Valle, parroco di Rebbio, anche il vescovo, cardinale Oscar Cantoni, è entrato nel merito della questione. E non lo ha fatto in un giorno qualsiasi. Cinque anni fa, come ieri sera, la città di Como si trovava infatti a fare i conti con un lutto inaspettato: quello di don Roberto Malgesini.
«Proprio in questo giorno, in cui ricorre l’anniversario dell’uccisione di don Roberto Malgesini, mite apostolo dei poveri - scrive il vescovo - riconosco le molteplici, diversificate, preziose espressioni di condivisione fraterna, di partecipazione alle fatiche della vita di molte persone, di autentica umanità, tutt’ora presenti nella città di Como, che si esprimono sia nella Comunità ecclesiale che nella Comunità civile».
Nel prendere atto di quanto scritto da don Giusto sul periodico parrocchiale “Il Focolare” e di ciò che il sindaco di Como, Alessandro Rapinese, ha poi risposto, «esprimo un caloroso invito a una profonda pacificazione, alla rimozione di ogni ostacolo e di ogni espressione verbale che impedisce o scoraggia la costruzione di una Città di tutti» continua Cantoni, che ieri ha celebrato la messa in ricordo di don Roberto, con una quindicina di sacerdoti e in una chiesa piena fino al sagrato. Insomma, la guida della Diocesi ha voluto cogliere questo anniversario per lanciare il suo personale invito al dialogo e al confronto «anche critico, tra cittadini e istituzioni, nel pieno rispetto di ogni persona e della Comunità, evitando sterili polarizzazioni».
Per quanto riguarda il lavoro svolto finora a Rebbio, il vescovo ha voluto confermare «il riconoscimento di don Giusto e del suo servizio pastorale di squisita tonalità evangelica, caratterizzato da uno specifico impegno a favore delle persone più fragili ed emarginate». Del resto, come raccontato negli scorsi giorni da più parti, quello di don Giusto è «un impegno che realizza anche una funzione di supplenza rispetto a un’urgenza sociale il cui peso, viceversa, ricadrebbe interamente sulla società civile e sulle istituzioni dello Stato» spiega Cantoni.
Naturalmente, l’augurio del cardinale comasco è che si eviti «una indebita e non costruttiva contrapposizione tra comunità cristiana e istituzioni, comunale e provinciale, in vista di un superiore bene comune che sta profondamente al cuore della comunità cristiana e delle istituzioni civili del nostro territorio».
Quello stesso bene comune che ieri sera ha portato comaschi e non, amici, volontari, aiutanti e aiutati nella piazzetta che porta il nome di don Roberto. Qui, un muro riporta una grossa scritta: «Don Roberto vive». E lo fa in tutte quelle persone che, prima e dopo la celebrazione, si sono radunate davanti alla foto di don Roberto, sotto gli alberi testimoni della sua morte, per fermarsi a pensare e rivolgere un inchino. «Di persone come lui non ne nascono tante» racconta una signora, che conosceva don Roberto dal 2009 e ricorda «l’amore e la cura che metteva in ogni cosa che faceva».
Alle 21.30, fuori dalla chiesa, i fedeli si accendono le candele a vicenda e parte la fiaccolata verso la chiesa di San Bartolomeo: 550 metri di cammino, gli stessi che, chissà quante volte, percorreva anche don Roberto.
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