La banca dati dei volti che incastra i delinquenti: ecco come funziona

Sistema Sari Immagini video e fotografie dei visi utilizzate per identificare i responsabili del reati. E il metodo d’indagine diventa sempre più efficace

Con una immagine di videosorveglianza appena accettabile, la percentuale di riuscita dell’identificazione può arrivare all’80%. Un’arma preziosa a disposizione delle indagini di polizia, che abbiamo imparato in questi mesi a conoscere con il nome di “Sari”. Si tratta di un sistema che partendo da una foto di un soggetto ignoto (ma comunque presente nelle banche dati delle forze dell’ordine) riesce ad effettuare una ricerca che con precisi algoritmi di riconoscimento facciale fornisce un elenco di persone ordinate secondo un grado di similarità.

L’archivio delle facce

Sempre più spesso, nelle attività di carabinieri e polizia che portano alla denuncia di soggetti ritenuti responsabili di furti, rapine, anche truffe (come nel caso di un truffatore ripreso in una casa di via Zezio), la svolta nell’indagine arriva proprio grazie a questo sistema che, come spiega Giovanni Di Nuzzo, comandante della Compagnia dei carabinieri di Como, è entrato in funzione a pieno regime da poco più di un anno.

Abbiamo voluto capire meglio come funziona, chiedendo l’aiuto proprio dei militari dell’Arma. Il “Sari”, prima di tutto, è un sottosistema dell’Afis (interforze) dove confluiscono i fotosegnalamenti. Un enorme bacino di persone identificate da cui è possibile attingere. Quando viene inserito un nuovo fotosegnalamento, nella foto frontale e di profilo che viene scattata con un apposito macchinario vengono introdotti più punti non modificabili del volto che creano una “impronta”: il primo è posto sotto il naso, il secondo al centro della bocca, gli altri sono sul mento, nelle pupille e al centro dell’orecchio.

Quando avviene, ad esempio, un furto in un supermercato, nel caso il ladro venga ripreso da un sistema video, i carabinieri o la polizia estrapolano dal filmato il frame migliore o comunque in cui i punti che abbiamo identificato prima – definiti “punti rilevanti” - sono più frontali. Ottenuto lo “scatto” migliore (da qui emerge anche la necessità di sistemi di videosorveglianza di buona definizione) questo viene inserito nel sistema “Sari” che, attingendo alla banca dati di cui parlavamo prima, passa in rassegna migliaia e migliaia di foto proponendo poi al militare le cinquanta con una percentuale di somiglianza (sempre in base ai punti rilevanti) maggiore.

Come le impronte digitali

L’elenco che compare sulla schermata va dal sospettato con la percentuale maggiore per poi scendere. Si può così entrare in una ulteriore sezione dove vengono consultati tutti i fotosegnalamenti di quella singola persona (ognuno con un codice unico identificativo) che possono essere ulteriormente consultati. Alcune somiglianze saltano subito all’occhio, altre devono essere più cercate, ma in tutti i casi questa iniziale segnalazione viene sviluppata con gli spostamenti del sospettato, le celle agganciate dal cellulare eccetera, partendo tuttavia da quel fondamentale input. Tanto che, come detto, con immagini buone la percentuale di casi risolti può arrivare anche all’80%.

Tra l’altro, in una sorta di avatar che – con il fotosegnalamento – viene disegnato con i “punti rilevanti” del soggetto, si possono anche inserire ulteriori punti come ad esempio nei, tatuaggi, che rendono la futura identificazione ancora più certa. Più dati vengono inseriti nella macchina, insomma, più si può riuscire a risalire con precisione all’identificazione.

I casi risolti con il Sari sono tanti, anche di recente. Tra questi c’è quello della banda che rubava agli anziani al Bancomat oppure – come detto – quello di un truffatore in azione in via Zezio e ripreso dalle telecamere dell’appartamento dell’anziano.

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