«La salute è in pericolo: non sia un diritto solo di chi ha i soldi»

Sanità Il presidente dei medici comaschi e lo sciopero: «Protestiamo per difendere il servizio sanitario nazionale»

I medici sono pronti ancora a scioperare «per salvare il sistema sanitario nazionale». Il diritto alla salute secondo i camici bianchi è a rischio. La nostra sanità pubblica soffre la carenza di personale, i mancati investimenti economici, il crescente numero di pazienti fragili. Da un modello universalistico ci stiamo spostando verso un modello di tipo assicurativo. Ecco allora che una categoria di professionisti in genere lontana dalle piazze incrocerà di nuovo le braccia lunedì 18 dicembre.

Dottor Gianluigi Spata, presidente dell’Ordine dei medici di Como, ma è proprio necessario?

Non scendiamo in piazza solo per i nostri contratti, i nostri stipendi o le nostre pensioni. L’antivigilia di quest’anno il nostro sistema sanitario nazionale compie 45 anni, per legge infatti è stato istituto nel 1978. È un sistema che riconosce a tutti indistintamente il diritto alla salute, in maniera universale, egualitaria e solidale. Noi scendiamo in piazza per difendere questo sistema.

È davvero a rischio?

Sì, il pericolo è passare presto ad un sistema di tipo assicurativo. Con due sanità diverse e parallele. Una gratuita oberata dalle liste d’attesa, senza molte specialità e con pochi professionisti. L’altra rapida ed efficiente almeno per ciò che conviene, ma a pagamento e dunque solo per chi può permettersela.

Tutto privato?

Io non demonizzo i privati, ma bisogna garantire un giusto equilibrio. Stessi servizi, stesso funzionamento e stesse regole. È necessaria una integrazione equa tra pubblico e privato.

Appunto, non state esagerando?

No, oggi una parte crescente seppur per fortuna minoritaria della popolazione rinuncia a curarsi perché non riesce per tempo ad accedere a determinate prestazioni mediche e di contro non può permettersi di spendere di tasca propria certe cifre. Questo è inaccettabile.

Ma se dermatologi, oculisti e ortopedici lavorano tutti nel privato?

Il sistema pubblico ha perso dei pezzi, è vero, tanti giovani colleghi scelgono solo la più remunerativa libera professione. Al contrario negli ospedali mancano, per esempio, gli specialisti nei Pronto soccorso o gli anestesisti, per i tanti pericoli e la troppa fatica. Occorre ripartire da capo e dare nuovo sbocco a certe specialità parificando le condizioni.

E come?

Bisogna, secondo me, ripartire dalla formazione. Resto convinto che l’unico strumento siano i corsi di laurea e di specializzazione. Anche i medici di medicina generale devono avere nuove prospettive. Devono essere rivalutati. Invece di svolgere solo compiti burocratici dovremmo poter fare esami di primo livello dentro ai nostri ambulatori, spirometrie ed ecografie.

E gli infermieri?

Anche loro hanno rivendicazioni molto simili. Poi per tutti c’è il tema dei riconoscimenti economici.

L’incentivo di frontiera?

Per carità, può essere una leva un bonus per chi lavora vicino alla Svizzera. Si parla di 700 euro lorde al mese che fanno comodo, ma comunque non spostano gli equilibri oltre confine. Continuiamo a formare troppi giovani capaci e promettenti che appena laureati varcano il confine e vanno a crescere in altri Paesi, non certo solo il Ticino. La sanità ha bisogno di grandi investimenti per cambiare davvero le condizioni lavorative e l’offerta da garantire ai pazienti.

l governo cosa dice?

Ha cancellato per fortuna i tagli alle pensioni del comparto previsti nella legge di bilancio. Ed ha prospettato una penalizzazione per chi lascia il lavoro prima dei 70 anni. Un modo comprensibile per tenerci più a lungo impegnati in un momento di carenza.

Quindi bene?

Non basta, questo è il momento di fare grandi progetti e di immaginare il futuro. Bisogna costruire tutti insieme il nostro sistema sanitario per gli anni a venire. La politica troppe volte non ci ha ascoltato ed ha considerato i camici bianchi come un peso e non come una risorsa. Fatte le case della salute invece dobbiamo riempirle di contenuti e di personale. Altrimenti senza fare nulla assisteremo allo smantellamento della nostra pubblica sanità pezzo dopo pezzo.

Succederà davvero?

Io resto sempre e comunque un ottimista. Però è chiaro che così non si può andare a lungo avanti. Dobbiamo dare ai medici e agli infermieri la tranquillità e la serenità necessarie per svolgere questo importante mestiere.

E quindi un altro sciopero?

Dopo le proteste dei sindacati e le manifestazioni di martedì scorso, il 18 dicembre diverse sigle rappresentative delle professioni mediche e infermieristiche hanno indetto una agitazione. Gli Ordini dei medici e delle altre professioni sanitarie sono al loro fianco.

Ma i medici devono proprio scioperare?

A me lo sciopero non piace. È uno strumento che non mi è mai piaciuto, detto che comunque nella sanità tutte le prestazioni urgenti e necessarie vengono garantite sempre per forza. Quindi di fatto al massimo noi scioperiamo lavorando. Però penso che adesso sia necessario dare un segnale di svolta. Per tutti, non solo per noi. Per difendere un sistema equo e universale, per il diritto alla salute. Dico di più, a me sarebbe piaciuto un grande sciopero generale che coinvolgesse unitariamente tutte le forze in campo.

Siete sulle barricate, insomma?

Se le cose non migliorano sì, è inevitabile. Dobbiamo cercare di cambiare la rotta, diverse sigle stanno già organizzando delle iniziative per il mese di gennaio. In questo momento storico sul diritto alla salute a mio parere è sacrosanto che tutti facciano sentire la propria voce.

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