L’appello di una figlia, dopo la morte della madre: «Dignità fino alla fine per i nostri anziani»

La testimonianza Perde la madre, di 91 anni, e ci scrive: «Non esiste assistenza a domicilio, il cittadino è solo». «Puoi solo andare in Pronto soccorso e attendere ore»

Prima: «Questa donna è da ricoverare, ma non c’è posto». Dopo alcuni giorni: «Questa donna andava curata prima». Neppure due settimane dopo: la donna è morta.

È una lettera piena di umanità, quella che la signora Cristina («lascio nome e cognome ma preferirei non lo pubblicaste») ci ha scritto. Per raccontare il calvario di sua mamma, morta a 91 anni dopo un mese di dolori e sofferenze. «Non è una lettera di reclamo - premette - è semplicemente per sensibilizzare e testimoniare il disagio che abbiamo avuto in un momento difficile. La speranza è che segnalando queste situazioni,le cose possano migliorare».

Sotto accusa non è tanto un medico o un ospedale, ma l’intero sistema sanità. Quel fiore all’occhiello di una Regione che a furia di privatizzare rischia di perdere di vista «l’umanità, il buon senso e l’umiltà».

La storia della mamma di Cristina inizia nel febbraio di un anno fa («non ho trovato in tutto questo tempo la forza di ricordare quei giorni di tremenda sofferenza»). Dopo aver contratto il Covid, la donna «a fatica è guarita». Ma a febbraio «inizia a lamentarsi per un dolore al braccio, il medico la visita e dice che è una nevralgia. Ma il dolore aumenta e compaiono delle macchie rosse. Ho intuito che poteva essere fuoco di Sant’Antonio, e il medico conferma il mio sospetto».

La malattia

La situazione peggiora rapidamente: «Le macchie rosse diventano grossi lividi blu così, dopo aver parlato col medico, la portiamo in pronto soccorso ma viene rimandata a casa. Da lì in poi è stato un calvario... vuoi per l’età o per non aver avuto l’assistenza dovuta, mia madre peggiora di giorno in giorno con forti dolori ai nervi corrispondenti. Non vi dico le medicazioni che abbiamo fatto... tutto inutile». Non resta che rivolgersi a uno specialista: «La portiamo con una visita d’urgenza dall’infettivologo in ospedale per sentirci dire: “sì questa donna è da ricoverare,” ma non c’è posto». Quindi la pensionata torna a casa: «Dopo giorni di medicazione a pelle viva, stremata, l’abbiamo portata di nuovo in pronto soccorso, dove si è fatta a 91 anni e mezzo, 8 ore di attesa seduta, poiché a causa delle ferite non poteva sdraiarsi. Inutili le richieste di farla visitare presto. Bisogna aspettare il proprio turno».

Troppa sofferenza

Dopo oltre otto ore finalmente la visita: a quel punto «ci è stato detto che questa donna andava curata prima e finalmente a seguire ricovero. Dopo circa 10 giorni di degenza mia mamma ci ha lasciati».

In quest’anno Cristina ha provato a rimettere insieme i pezzi di quel dolore «Io sono figlia unica e ho seguito i miei genitori disabili per tre anni e mezzo e vi assicuro che è dura e quando le cose si complicano e c’è bisogno di aiuto, si resta soli. Ho le foto della sua sofferenza e oggi fatico a guardarle. Spero che la mia testimonianza serva a qualcosa, sono del parere che finché si tace nulla può cambiare. Sulla carta i conti possono anche tornare ma, nella realtà ci vuole umanità, buon senso e umiltà. La sofferenza va evitata a chiunque mia madre era anziana e questo si accetta. ma ciò che ha passato nell’ultimo mese di vita non riesco a descriverlo. Se ne sarebbe andata ugualmente credo, ma con le dovute cure, forse più serenamente senza troppa sofferenza».

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