Cronaca / Como città
Giovedì 11 Dicembre 2025
L’Australia vieta i social agli under sedici. Il dibattito: «Facciamolo anche qui». «No, piuttosto educate gli adulti»
Il tema Il divieto ufficiale è in vigore da ieri sulle piattaforme online per gli utenti australiani. Gli esperti comaschi a confronto. Mantegazza: «Doveroso». Lancini: «Soluzione troppo comoda». Monticelli: «Limiti sì, ma non così»
Dal 10 dicembre in Australia è entrato in vigore il divieto dei social media per i minori di sedici anni. Si tratta di un divieto molto discusso e che si vorrebbe portare anche in Italia, ma l’Australia è di fatto il primo Paese ad aver approvato una legge di questo genere e che riguarda tutte le piattaforme social, dalle più note come Facebook, Instagram, TikTok, YouTube, Twitch, Snapachat e X alle meno note, tra cui Reddit, WeChat e Threads. Escluse invece le piattaforme di messaggistica, come WhatsApp e Messenger.
Il divieto ha però dei confini laibli: le aziende proprietarie delle piattaforme dovranno chiedere agli utenti di indicare l’età e la verifica dell’informazione data avverrà con vari controlli: si verificherà per, esempio, se l’utente interagisce con altri minorenni o in quali orari del giorno è più attivo.
Due tesi a confronto
Di una legge quasi identica si è parlato anche in Italia (dove già è vietato l’uso dei cellulari a scuola) con la proposta presentata in Parlamento dal pedagogista Daniele Novara tramite la capogruppo di Alleanza Verdi e Sinistra alla Camera, Luana Zanella. «Ne sono un firmatario» dichiara il pedagogista e docente universitario Raffaele Mantegazza: «Un quattordicenne è in grado di guidare un’auto, ma non glielo permettiamo perché non è pronto». Il professore spiega come la velocità di reazione suscitata e richiesta per le interazioni sui social non permette agli adolescenti, «dominati dalle emozioni» come li descrive, di elaborare emotivamente le risposte. Si tratta di una legge che però solleva molti dubbi sull’efficacia. «Ci saranno dei trasgressori - riconosce Mantegazza - Ma Internet oggi è un deserto senza regole, lo vediamo anche dal fatto che bambini di sei anni finiscono sui siti porno: la regola serve e se anche viene trasgredita lascia un messaggio, la presa di coscienza che ci sono limiti».
Su tutt’altra linea invece Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta, che sottolinea come non ci sia causalità diretta tra l’utilizzo dei social e il disagio psicologico rilevato nelle nuove generazioni. «In un modo di guerre e crisi climatica, davvero pensiamo che a far star male i ragazzi siano solo i social?» si chiede Lancini. L’esperto propone, come fa spesso e in particolare nell’ultimo libro “Chiamami adulto”, di responsabilizzare invece gli adulti: «Con la scusa di voler aiutare i giovani, negli ultimi anni finiamo sempre per privarli di qualcosa: è solo un lava coscienze per gli adulti che impongono regole che difficilmente verranno rispettate senza un accordo internazionale. Così non fanno che perdere autorevolezza». Lancini parla di «demagogia» e invita piuttosto gli adulti a imparare a usare bene i social in prima persona e a chiedersi se le strategie educative scelte servano più a loro o ai loro figli.
L’esperienza sul territorio
E anche Sonia Monticelli, direttrice del consultorio La Famiglia a Como sposa questa seconda visione, pur ribadendo l’importanza di regole che però dovrebbero venire secondo lei innanzitutto dall’ambiente famigliare. «Non si può delegare il compito educativo - sottolinea - Quello dei social è un tema che i genitori ci pongono spesso, ma di solito quando si verifica un problema, per esempio quando dicono di non capire più i loro figli per colpa del cellulare... ma sono loro i primi a non saper usare al meglio lo strumento e a non saper quindi mediare tra lo strumento e i figli stessi».
Motivo per cui nel consultorio che dirige Monticelli propone incontri di educazione digitale ai genitori anche di bambini di un anno.
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