Lui infermiere in Svizzera, lei a Como: «Io prendo 5.500 euro, mia moglie 1.600»

Sanità Stefano si è formato al Sant’Anna e poi è stato assunto in ospedali ticinesi. «Ma tornerei volentieri vicino a casa, basterebbe davvero un incentivo per i frontalieri»

Moglie e marito fanno lo stesso lavoro a distanza di pochi chilometri, lui prende 5.500 euro e lei 1.600. Succede ad una coppia di infermieri, i 3.900 euro di differenza stanno tutti nei 15 chilometri che corrono tra Como e Mendrisio.

Mendrisio e Lugano

«Al vecchio Sant’Anna io ho studiato e mi sono formato – racconta Stefano Colombo – al corso di infermieristica e con il tirocinio presso l’Asst Lariana. Ho fatto in tempo a fare lezione pratica e teorica dentro ai vecchi edifici di via Napoleona, quindi ho iniziato a lavorare anche al Bassone, alla casa circondariale. Poi però ho ricevuto una richiesta d’assunzione da Mendrisio che non ho saputo rifiutare per ovvie ragioni economiche. Peraltro in breve tempo mi hanno promosso e da pochi anni sono diventato caporeparto a Lugano, con uno scatto salariale in più. Mi dispiace perché il nostro Paese forma molto bene tanti infermieri, salvo poi perderli per il grande divario con gli stipendi d’oltreconfine. Tanti, tra i quali me, decidono di andarsene. Per Como la Svizzera è quasi irresistibile, è vicina. Mia sorella però è anche lei infermiera e se n’è andata in Inghilterra».

La differenza nella retribuzione è davvero tanta, è impensabile per l’Italia coprire quasi 4mila euro di divario. Da tempo, e senza esito, sul confine si parla di un bonus, un incentivo per trattenere gli infermieri in servizio in province come Como e Varese.

«È chiaro, non pretendiamo 5.500 euro di stipendio, sarebbe irrealistico – ribatte Stefano – però un bonus di confine sarebbe allettante, come una tassazione agevolata per chi risiede a ridosso della frontiera. Io abito a cinque minuti dall’ospedale di Como, il tragitto verso Lugano è lungo, sono ore di viaggio al giorno e potrei pensarci. Del resto io ho tre figli e un mutuo da pagare, se anche io come mia moglie lavorassi per il sistema pubblico a Como faremmo molta fatica».

La moglie Paola, infermiera non certo meno brava, in effetti al mese prende nemmeno un terzo dello stipendio del marito.

Manca personale

La storia della famiglia di Stefano è di recente andata in onda su La7, in particolare sulla trasmissione Tagadà. I sindacati hanno subito ripreso la testimonianza per rilanciare le richieste degli infermieri. Figura che nel nostro territorio manca. Infatti, c’è grave carenza: servirebbero almeno 300 infermieri ai soli ospedali pubblici comaschi, ma anche il privato e le Rsa faticano ad assumere questi professionisti sanitari.

Il bonus di confine, chiesto a livello territoriale dal sindacato e proposto da diversi politici, è stato varato in sede di bilancio dal governo nell’ottobre del 2023. Non sono però mai state pubblicate le linee guida e la misura non è stata finanziata dallo Stato e dalla Regione. Doveva essere utilizzata parte della tassazione dei vecchi lavoratori frontalieri, ma tutto si è arenato.

«Indennità di confine: se non ora quando? - si domanda Massimo Coppia, rappresentante sindacale dell’Asst Lariana e segretario della funzione pubblica della Uil del Lario – La Regione Lombardia è un’assente non giustificata. Abbiamo ascoltato tante promesse, ma non abbiamo visto risultati concreti».

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