
Cronaca / Como città
Domenica 12 Ottobre 2025
Nel paese dei dissesti: le regole per evitarli
Il cambiamento climatico ha accentuato un problema con cui l’Italia fa i conti dal 1861. Non è solo una questione di risorse: fondamentali la manutenzione del territorio e il coordinamento tra stato e comuni
Il dissesto idrogeologico torna d’attualità. Lo scorso maggio si è tenuta a Roma la seconda giornata nazionale dedicata a questo problema, difficile da affrontare considerando la complessa orografia del territorio italiano, frutto di un’altrettanto articolata orogenesi e morfogenesi territoriale; ne conviene che l’approccio non può che essere sistemico, analizzando e correlando i vari aspetti del problema.
A ciò si aggiunge un non molto avveduto sviluppo urbanistico che spesso non ha tenuto in giusta considerazione le fragilità territoriali evidenti e conclamate in corrispondenza del reticolo idrico e dei versanti instabili. Da ultimo la rapida evoluzione del cambiamento climatico e idrologico ha messo in tutta evidenza la problematicità della questione sia localmente che globalmente.
I resoconti dell’istituto superiore per la protezione ambientale-Isppa e la piattaforma Rendis (repertorio nazionale degli interventi per la difesa del suolo) evidenziano come il 93% dei comuni italiani sia interessato da fenomeni franosi, alluvionali o di erosione costiera, ed anche che il 18% del territorio e classificato ad alta pericolosità per frane: i dati parlano da sé.
La storia ci ricorda numerosi eventi alluvionali che ricorrentemente si sono manifestati evidenziando la fragilità territoriale della penisola; riferiamo brevemente i più significativi a far data dallo stato unitario: 1861 Sicilia, 1870 Roma, 1872 Po, 1910 Campania, 1948 Langhe, 1951Polesine, 1953 Calabria, 1954 Salerno, 1966 Firenze , 1970 Genova, 1987 Valtellina, 1994 Piemonte, 1998 Sarno, 2000 Soverato, 2009 Messina, 2013 Sardegna, 2022 Marche e Umbria, 2023 Emilia Romagna oltre a numerosi eventi minori.
I miliardi stanziati
Da un recente documento del centro studi del Consiglio nazionale degli ingegneri-Cni, che si riferisce ai dati della piattaforma Rendis, risulta che negli ultimi 25 anni sono stati stanziati per gli interventi a seguito di eventi calamitosi circa 20 miliardi di euro per poco più di 25.000 interventi. Il piano nazionale per la mitigazione del rischio idrogeologico- Proteggitalia del 2019 prevede per il periodo 2019- 2030 stanziamenti per 14 miliardi di euro, mentre i fondi messi a disposizione dal Pnrr ammontano a 2,4 miliardi di euro.
Anche il recente rapporto montagne Italia presentato dall’Uncem-Unione nazionale comuni e comunità montane dedica una specifica parte al dissesto idrogeologico.
Fatta questa sintetica premessa è interessante vedere come il paese ha cercato di affrontare la questione anche a seguito dell’evoluzione delle competenze dal 1861 ad oggi, con il progressivo trasferimento delle competenze dallo stato centrale alle autonomie regionali.
Un primo importante intervento dello stato unitario riguardò la bonifica dei terreni paludosi a partire dal 1882; vale la pena di richiamare come questa notevole operazione ha interessato circa il 10% del territorio nazionale portando alla costruzione di circa 20.000 chilometri di canali artificiali gestiti da consorzi di bonifica. Sicuramente una riflessione si impone al riguardo della verifica delle dimensioni dei canali alla luce degli eventi meteorici estremi che si stanno verificando negli ultimi anni.
Un atteggiamento di attenzione alla questione da parte dello stato unitario e stata l’istituzione di apposite commissioni per lo studio dei provvedimenti organici per risolvere i problemi manifestatesi con le disastrosi alluvioni.
Fra le più importanti ricordiamo per l’alluvione del Po nel 1872 la commissione Brioschi e per l’alluvione di Firenze del 1967 la nota commissione De Marchi. Quest’ultima svolse un lavoro molto importante che portò dopo diversi anni all’emanazione della legge 183 del 1989 rafforzando la visione di bacino idrografico nella prospettiva della difesa del suolo; le norme di riferimento furono poi integrate con le legge 267/98 e 365/2000 anch’esse emanate a seguito di eventi alluvionali e successivamente con il codice dell’ambiente 152/2006 ed il codice della protezione civile nel 2018 e con la recente legge 40/25 legge quadro in materia di ricostruzione post-calamità.
Con la legge sulla difesa del suolo inizio il lavoro delle autorità di bacino per una visione sistemica del problema che portò negli anni ad una pianificazione attraverso diversi strumenti: piano di gestione del rischio alluvionale, piano di assetto idrogeologico, piano di gestione del distretto idrografico e piano di gestione delle risorse idriche.
In particolare il Pgra (piano di gestione rischi alluvioni) redatto in attuazione della direttiva 2007/60/CE recepita con decreto legislativo 49/2010 ha la funzione di dare le direttive per la gestione del rischio alluvionale individuando la priorità degli interventi previsti.
Nel frattempo la gestione degli interventi di difesa del suolo, originariamente seguiti direttamente dallo stato per il tramite degli uffici del Genio civile e del Cfs- Corpo forestale dello stato, ha visto la compartecipazione delle regioni e degli enti locali per il noto trasferimento delle competenze, ferme restando le funzioni statali di indirizzo coordinamento e controllo. Tale impostazione ha causato qualche difficoltà operativa anche per la disparità fra esigenze e disponibilità economiche.
Il tentativo di superare il problema nel tempo è passato attraverso la strada degli accordi di programma Mattm (Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare) e regioni, con ordinanze ministeriali, nomina di commissari straordinari, l’istituzione della struttura di missione Italiasicura prima e Investitalia poi, con una unità tecnica per il dissesto idrogeologico, all’interno della cabina di regia Strategia Italia.
Il tutto ha portato alla redazione del piano Proteggitalia 2019-30 con i previsti ambiti di intervento: emergenza e dissesto, prevenzione, manutenzione e semplificazione.
Gli interventi all’attualità risultano di competenza del Mase (Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica), della Presidenza del consiglio dei ministri, del dipartimento della Protezione civile, del ministero dell’Interno e delle Regioni.
Una notevole e pregevole documentazione della questione si può trovare nei rapporti Ispra- Rendis oltre ai documenti del centro studi Cni, dell’Anac e dell’Ance, della Presidenza del consiglio dei ministri e del centro studi della Camera dei deputati.
Le buone pratiche
Come sempre quando si deve ottimizzare fra esigenze e risorse bisogna avere dei punti di riferimento; in questo caso, tenendo presente il nuovo scenario del cambiamento climatico ed idrologico, si possono evidenziare i seguenti obiettivi:
-partire da una visione di bacino, salvaguardando le zone di espansione naturale dei corsi d’acqua con un’accurata pianificazione urbanistica,
-migliorare e potenziare le opere di difesa idraulica esistenti con particolare attenzione ad una riqualificazione ambientale;
-rendere operativi gli strumenti previsionali ed i conseguenti piani di protezione civile attraverso un percorso di consapevolezza per i cittadini interessati;
-attuare una manutenzione territoriale diffusa con particolare attenzione alle zone antropizzate ed alle terre alte non più costantemente abitate;
-dare attuazione ad una visione economica della difesa del suolo nella consapevolezza che un investimento nella prevenzione è meglio che una spesa nella ricostruzione e incentivare la copertura assicurativa nelle zone a rischio;
-conseguentemente destinare una parte di risorse economiche programmate alla manutenzione del territorio,
-coordinare al meglio le competenze fra stato, regioni, distretti idrografici ed enti locali al fine di superare l’esistente frammentazione di competenze avendo come finalità il superamento della discontinuità fra interventi di emergenza e interventi strutturali e la diminuzione dei tempi di realizzazione di quanto programmato;
-valorizzare le nuove tecnologie per monitorare il territorio e per gestire l’attuazione degli interventi sia nella parte progettuale che nella gestione delle emergenze.
Il tutto con la consapevolezza della necessità della difesa del nostro patrimonio territoriale per la sua straordinaria valenza paesaggistica, ambientale, sociale ed economica.
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