Paratie, procura e difese fanno ricorso. E il processo finisce in Cassazione

Il caso La Procura generale di Milano impugna la sentenza di assoluzione pronunciata a gennaio. Anche i “prescritti” chiedono il terzo grado di giudizio: vogliono un proscioglimento “nel merito”

Si torna a parlare del processo “paratie”, a cinque mesi dalla sentenza con cui lo scorso gennaio la corte d’Appello di Milano aveva mandato tutti gli imputati assolti, in qualche caso ritenendo che le contestazioni non sussistessero, in altri dichiarando l’intervenuta prescrizione, e infine mantenendo in piedi un solo episodio di rivelazione di segreto d’ufficio, costato sei mesi agli imputati Pietro Gilardoni e Giovanni Foti.

Il maxi ricorso

La notizia di queste ore è che si va incontro a un terzo grado di giudizio, quello di Cassazione, cui hanno presentato ricorso sia la procura generale – per tutte le ipotesi di reato non prescritte – sia le difese, e non soltanto quelle di Foti e di Gilardoni. A Roma andranno infatti anche le assoluzioni dei vari Mario Lucini, Antonio Ferro, Antonietta Marciano, Antonio Viola, Antonella Petrocelli, a conferma – se ancora ve ne fosse stato bisogno – della fermezza con cui le parti di questa accesissima odissea giudiziaria intendono - peraltro non da ieri - imporre le proprie ragioni.

L’ex sindaco Lucini e i suoi compagni di sventura chiedono che il giudizio entri anche nel merito dei reati prescritti; in altre parole che si pronunci una assoluzione argomentata, e non limitata alla presa d’atto del fatto che siano trascorsi troppi anni perché quei reati siano ancora perseguibili.

La vicenda è nota: il processo nacque all’esito di una lunga indagine condotta anche sulla scorta degli esiti di un accertamento dell’Enac (l’Ente nazionale anti corruzione) e vide coinvolti un totale di sette imputati, vale a dire l’ex sindaco Mario Lucini e il gruppo dei dirigenti comunali che ebbero di volta in volta la sventura d’essere chiamati a gestire il maledetto cantiere del lungolago. Finirono tutti condannati, in primo grado, a pene variabili tra i sei mesi e i 4 anni, salvo poi i giudici d’appello eliminarle con un netto colpo di spugna, e mantenendo in essere soltanto i sei mesi inflitti a Foti e Gilardoni per il “semplice” reato di rivelazione di segreto d’ufficio. I magistrati di secondo grado assolsero o «perché il fatto non sussiste» o, come detto, per intervenuta prescrizione, l’istituto giuridico che sancisce l’estinzione di un reato quando sia trascorso un determinato periodo di tempo.

Dal primo grado all’appello

Di tempo, in effetti, ne era passato già parecchio. Il processo di primo grado prese il via addirittura nel luglio del 2017, sei anni fa; si concluse con richieste di condanna per circa 40 anni di carcere, e con una sentenza che ne dispensò “soltanto” 12: ne rimediò quattro l’ingegner Gilardoni, ex dirigente del settore Reti del Comune, due Antonio Viola, lui pure ingegnere e predecessore di Gilardoni nel medesimo incarico al settore Reti; rimediò un anno e tre mesi l’ex dirigente dell’Edilizia pubblica Antonio Ferro, sei mesi l’ex segretario comunale Petrocelli, un anno l’ex dirigente dell’area legale Maria Antonietta Marciano, uno e otto, infine, l’imprenditore Foti. A gennaio i giudici d’appello intervennero assolvendo tutti, e mantenendo in essere soltanto quel residuo pena di sei mesi a testa per Foti e di Gilardoni. Ora non resta che attendere la data dell’udienza a Roma.

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