
Cronaca / Como città
Lunedì 29 Settembre 2025
Ticosa, la bonifica è un salasso: conto di 16 milioni per l’amianto
Area dismessa L’aumento dei costi sta ostacolando il progetto di riqualificazione - Si valutano alternative tecniche che non prevedano la rimozione completa del materiale
Il conto della bonifica della Ticosa rischia di diventare sempre più pesante e di sfiorare i 16 milioni. Ad incidere in modo significativo è sempre un unico materiale: l’amianto.
Sei milioni sono stati spesi in passato per la parte superficiale e quella nel sottosuolo con l’eccezione della “cella 3”, lo spazio di forma quadrata che si trova poco distante dalla ex centrale termica “Luigi Santarella” (il più grande esperto del cemento armato agli inizi del Novecento). E per portare via da quest’ultima il terreno nel quale ci sono frammenti di amianto ci vorranno parecchi milioni. Nel gennaio del 2022 la seconda gara (la prima da 4,1 milioni era stata ritirata per problemi procedurali) aveva come base d’asta 4,3 milioni di euro, cifra che però era stata ritenuta dal mercato troppo bassa al punto che nessuno si presentò per eseguire il lavoro di rimozione.
Le stime attualizzate parlavano, già allora, di un valore di almeno 6 milioni di euro. Lo stesso Comune di Como e la società Acinque, che nel gennaio del 2024 aveva presentato un progetto di partenariato pubblico-privato per la riqualificazione dell’intera area Ticosa e, nell’approfondire gli aspetti finanziari, si era ovviamente parlato anche della bonifica della “cella 3”. Acinque aveva spiegato che sarebbe stato usato il piano predisposto dagli uffici comunali in precedenza e già approvato nel 2019 dagli Enti competenti (Comune, Provincia, Ats, Arpa) e che la stima di costo era pari a 8 milioni di euro. Cifra che, tuttavia, in un anno e mezzo è salita ulteriormente e i bene informati oggi parlano di un importo necessario tra i 9 e i 10 milioni.
Ecco perché la proposta è al momento bloccata: un nuovo piano finanziario (richiesto dal Comune) è infatti fortemente condizionato dalla quota “bruciata” dalla rimozione dell’amianto e, per questa ragione, sono in corso contatti a più livelli (anche con Regione e Ministero) per valutare la percorribilità di una tecnica alternativa che passerebbe dalla messa in sicurezza del materiale, ma senza la sua rimozione. In questo caso tutto dovrebbe comunque riottenere nuove approvazioni dagli Enti di controllo.
Oggi il conto (per ora virtuale) per scrivere la parola fine alla questione bonifica è quindi pari a qualcosa come circa 16 milioni di euro. Il paradosso è che il 90% dell’area ha già da anni ottenuto tutte le certificazioni di avvenuta bonifica e a determinare il guaio peggiore sono i 4500 mq di terreno contaminato (circa 8mila metri cubi da rimuovere) con le fibre di amianto della “cella 3”. Fibre che erano presenti nell’intera area poiché nella vecchia tintostamperia era stato fatto un larghissimo uso dell’amianto, sostanza che, oltre ad avere uno speciale potere ignifugo, serviva anche per evitare la condensa provocata dai fumi dei telai e della tinteggiatura dei filati. Il boom dell’utilizzo risale agli anni Cinquanta - Sessanta e fino all’inizio degli anni Ottanta, quando la fabbrica venne chiusa definitivamente. Gli strascichi, però, ci sono ancora oggi. E ancora non si vede una via d’uscita.
I primi problemi con la sostanza pericolosa emersero a ridosso della demolizione, quando si scoprì – da alcune relazioni – che non tutte le zone superficiali del corpo a C erano state verificate in modo approfondito sulla presenza di amianto (in alcuni casi non c’erano le chiavi di accesso, in altri c’era troppa vegetazione). L’abbattimento avvenne con lo spettro della sostanza che circolava tra discorsi ufficiali e strette di mano e, diversi mesi più tardi, furono Procura e forze dell’ordine ad intervenire dopo il riscontro di fibre di amianto in Ticosa diverso tempo dopo la demolizione (in pratica una guaina, mai censita, venne triturata con tutto il resto del materiale). Ci vollero mesi e mesi per liberarsi delle tonnellate di macerie in cui era sparsa (in piccole quantità) la sostanza pericolosa. Poi si passò al sottosuolo e anche lì l’amianto non mancò. Ora è sempre quello della famosa “cella 3” a creare problemi ormai da quasi un decennio. Il sindaco Alessandro Rapinese ha annunciato in tv «una svolta entro la fine dell’anno». Sarà la volta buona?
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