«Tre giorni in Pronto soccorso. Così mio padre è morto solo»

Valduce L’anziano si è spento senza che la figlia potesse stargli vicino: «È la fine che vorremmo per noi?». L’ospedale: «Malati assistiti al meglio»

Morire, soli, in Pronto soccorso. Non c’è risentimento nel racconto di una figlia che ha da poco perso il padre anziano. Vuole solo portare all’attenzione dei comaschi, e delle autorità sanitarie, un problema molto sentito. Per tante ragioni in questi anni i Pronto soccorso sono affollati di ammalati, i pazienti più anziani spesso si spengono nei reparti di emergenza urgenza perché sale e corridoi sono ancora off limits per parenti e affetti, anche i più stretti.

«Soli come cani»

«Non conosco la realtà delle altre città italiane, ma a Como si rischia di morire “soli come cani” in Pronto soccorso – scrive la signora Bianchi - Se sei una persona che è giunta al termine della sua vita e per necessità di salute entri in pronto soccorso, lì vieni sequestrato per giorni e non hai diritto alla mano di un figlio che tenga la tua nella sua mentre stai morendo. I parenti, infatti, non possono entrare in pronto soccorso, lo dice il regolamento».

Dopo la pandemia i reparti degli ospedali hanno progressivamente riaperto alle visite, anche le Rsa sono almeno in parte tornate alla normalità. I Pronto soccorso restano invece barricati. «Post Covid le mascherine evidentemente non bastano – scrive ancora la signora - quindi un figlio deve sperare di incontrare un medico un poco più umano degli altri che lo faccia sgattaiolare dentro un attimo, per rassicurare il padre morente, spaventato. Tra le forti luci al neon, il ventilatore di ossigeno che gli impedisce di parlare, in uno stato di leggera confusione, ma purtroppo sempre presente». La signora fa riferimento ad un paziente ultranovantenne e in fin di vita che ha bussato dieci giorni fa prima alle porte del Sant’Anna e poi del Valduce. Quindi, dopo tre giorni di attesa, si è spento in reparto.

«Non dovrebbe essere garantito un soccorso pronto seguito da un’ altrettanto pronta dimissione, o, in alternativa, il ricovero? Stare in barella per giorni è contemplato dal regolamento? Non si può allestire una stanza in Pronto soccorso dove i più fragili possano spegnersi con una persona cara accanto? Interroghiamoci. È questa la fine che vorremmo per noi stessi?».

L’intento della riflessione non è polemico. Vuole accendere le luci su un’emergenza quotidiana, non attaccare gli ospedalieri. Dal Valduce, dopo la segnalazione della signora Bianchi, spiegano che l’ospedale fa tutto il possibile per assistere al meglio i cittadini, con quanta più umanità possibile, al netto delle regole dettate dalla pandemia.

Carenza di spazi

Il Valduce, in particolare in Pronto soccorso, soffre di una grave carenza di spazi, alla quale si sta cercando di porre rimedio. Come pure sta affrontando la carenza di personale, chiedendo uno sforzo agli specialisti interni per coprire i turni.

Sono anche tornati i volontari delle associazioni che aiutano pazienti e parenti. Nei reparti le visite sono riprese e anche nei momenti più difficili non è mai mancata la possibilità di dire addio ad un proprio caro. Il Pronto soccorso però è uno snodo delicato, qui come negli altri ospedali del territorio.

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