Un pranzo a Rebbio con 45 migranti minorenni: «Nelle comunità non c’è posto, ma il tempo per loro sta per scadere»

Accoglienza La parrocchia ha accolto 45 minori egiziani che erano stati posti sotto la tutela del Comune, che però non ha spazi dove ospitarli: «Erano in condizioni tremende, con segni di violenza dati dal viaggio verso l’Italia». Serve l’aiuto di volontari per organizzare le attività

Hanno iniziato a presentarsi alla porta della parrocchia di Rebbio dopo la metà di ottobre e dopo che il Comune, cui la questura li aveva affidati in quanto minori, ha chiesto aiuto alla parrocchia per assenza di luoghi idonei dove collocarli: tutti giovanissimi e tutti con una storia simile. La partenza dall’Egitto, il viaggio della speranza, i soldi sborsati dai genitori perché qualcuno li portasse in Italia, le sofferenze e le violenze subite, lo sbarco e poi gli spostamenti da un capo all’altro dell’Italia, per trovare un luogo dove restare. Potrebbero essere riassunte così le storie di 45 minorenni migranti che dall’Egitto sono arrivati qui a Como. In molti si stanno chiedendo perché proprio qui e proprio adesso.

A spiegarlo sono don Giusto Della Valle, parroco di Rebbio, e un’operatrice della parrocchia, Georgia Bordieri: «Milano è congestionata, quindi vengono spediti a Como e affidati al Comune ma sul territorio comunale non ci sono comunità per minori con posti: è tutto pieno. Così arrivano qui a Rebbio, dove vengono ospitati temporaneamente».

Una situazione che appunto dura da ottobre ma della quale si è iniziato a parlare recentemente, perché, dal primo gruppetto di ragazzi arrivato in autunno, i pugni che bussano alla porta dell’oratorio di Rebbio sono andati sempre più aumentando e hanno raggiunto settimana scorsa la cifra di 45. L’appello che don Giusto ha lanciato alla cittadinanza comasca non è passato inascoltato: «Qualche volontario c’è - racconta infatti - e un grosso aiuto ci è stato dato dal liceo Giovio, alcuni ragazzi sono stati presi da comunità per minori, a Pesaro o Imperia». Alla parrocchia di Rebbio in questi giorni in effetti arriva continuamente materiale donato, soprattutto cibo e vestiti.

«Ma abbiamo soprattutto bisogno di volontari che stiano con i ragazzi - spiega Georgia - sono tanti e per poter fare delle attività che abbiano un senso occorre dividerli in gruppi, fare con qualcuno scuola di italiano, con qualcun altro laboratori, anche artigianali... qualsiasi cosa va bene!».

La routine quotidiana a Rebbio

Dopo quattro mesi passati a contatto con questi ragazzi, Georgia ha anche imparato le loro storie e ci pone una domanda ben più tagliente del “perché proprio qui a Como?”: «Davvero vogliamo lavarcene le mani?».

A discapito di quello che si potrebbe pensare, per quanto complesso da gestire, il gruppo di minorenni - grazie all’aiuto dei volontari e degli operatori della parrocchia - si è dato un’organizzazione ferrea. Siamo stati a pranzo con loro: cucinano per sé stessi, si servono a vicenda, pregano insieme prima di mangiare. «Dopo pranzo sono organizzati in turni per lavare i piatti - ci racconta don Robert Djabou che è in parrocchia a Rebbio da 15 mesi e aiuta nel coordinamento dei ragazzi - Sono autonomi anche nelle pulizie dei locali». Un’accoglienza di emergenza, che li ha portati a dormire e vivere ammassati tutti insieme nell’oratorio di Rebbio, lì dove si è creato spazio per loro. E lì loro aspettano.

I posti in comunità non bastano

Aspettano che si liberino i posti nelle comunità per minori, pochissime in Lombardia e con un personale sempre più esiguo. Intanto il tempo per loro è come sabbia in una clessidra: il motivo che ha spinto i loro genitori a mandarli in Italia è proprio la loro minore età che garantisce una più alta probabilità di trovare accoglienza.

Ma non saranno minorenni per sempre e se non vengono presi in carico da una comunità, il loro futuro diventerà se possibile ancora più complesso. E questi ragazzi di complesso hanno già avuto un passato di sofferenza: «Alcuni sono arrivati in condizioni tremende - racconta Georgia - gli sono state strappate le unghie, avevano funghi che hanno distrutto la pelle dei piedi o la polmonite per il freddo preso durante la traversata in mare, un ragazzo è stato addirittura in un carcere in Grecia. E poi hanno un’ingenuità da ragazzini: di solito i migranti sono restii a spiegare come sono arrivati qui, loro ci mostrano i video girati sui gommoni, raccontano delle violenze fisiche subite: sono solo dei ragazzi».

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