
Cronaca / Como città
Martedì 01 Luglio 2025
«Via i posti blu in strada a Como, servono autosili». E da destra a sinistra l’accusa alla giunta: «Sono senza visione»
Mobilità Al dibattito di “Costruiamo” l’ex dirigente Cosenza: «Csu ne può realizzare tre all’anno». Dai politici di diverso colore attacco all’amministrazione. E Molinari punge i consiglieri regionali
Como
Una città libera dalle auto: è il sogno presentato ieri sera allo Yacht Club da Giuseppe Cosenza, urbanista, già dirigente a Palazzo Cernezzi e firmatario della modifica al Pgt nel 2016. «Impegniamoci a fare più autosili e a liberare la città dalle auto - ha detto Cosenza nel corso di un incontro dell’associazione Costruiamo sul tema della mobilità cittadina e moderato dal coordinatore dell’associazione Pino Zecchillo - I luoghi e le condizioni per farlo ci sono. Visti gli introiti di Csu, potremmo aspettarci almeno un autosilo ogni tre o quattro anni e in dieci anni avremmo risolto il problema».
Le proposte
La proposta nasce sulla scorta di un quadro generale della mobilità urbana che affonda le sue radici in storiche infrastrutture ancora da completare - una su tutte la Borgovico Bis, più volte citata nel corso dell’incontro - e che guarda a un futuro in cui la situazione del traffico cittadino dovrà fare i conti con una crescita costante del turismo così come con il progetto del nuovo Sinigaglia. Un progetto che, secondo Cosenza, se dovesse effettivamente prevedere la realizzazione dell’autosilo al Pulesin costituirebbe la pietra tombale sulla conclusione del progetto della Borgovico Bis.
Per l’ex assessore Nini Binda, assente ma che ha fatto pervenire un suo intervento in vista dell’incontro, la soluzione dei nodi viabilistici sul territorio potrebbe essere doppia: l’istituzione di zone a traffico limitato in punti nevralgici come Tavernola e Menaggio e l’inserimento di un ticket per i turisti.
«Oltre a volere viale Lecco e viale Varese libere dalle auto, credo sarebbe bene anche occuparsi del nodo di Sant’Agostino che è cruciale e che può essere reso più fruibile ripensando, per esempio, alla collocazione del capolinea dei bus» ha aggiunto Cosenza. Le riflessioni sono state accolte con favore dai presenti. Un parterre con presenze pluripartitiche, (l’ex sindaco Sergio Simone, Stefano Molinari e Alessandro Nardone per Fdi, Adria Bartolich, coordinatrice locale del partito Liberaldemocratico, e Gianstefano Buzzi, esponente del Pd ed ex consigliere regionale), oltre a esponenti civici come Vincenzo Falanga, presidente dell’associazione Nova Como, Maria Cristina Forgione dell’associazione Carducci e l’imprenditore Tiberio Tettamanti.
Voci concordi anche nel denunciare una mancanza di visione da parte dell’attuale amministrazione comunale. «Che fine hanno fatto i discorsi strategici sul futuro della città a partire dalle infrastrutture? - ha incalzato Cosenza - Bisogna coltivare le relazioni, andare nei ministeri e fare gli studi di fattibilità. La governance del territorio non può essere lasciata a un unico soggetto. Dove sono finiti tutti?»
«Le città belle hanno le strade libere dalle macchine - ha detto Molinari - Ma per farlo serve una visione e invece ci troviamo con un Comune che non ha un minimo di programmazione. Serve più iniziativa e personalmente vorrei maggior sprint anche dai nostri uomini in Regione, perché qualcosa sui temi citati dobbiamo portare a casa».
Collaborazione tra enti
Temi che hanno toccato anche la viabilità territoriale in senso più ampio, con uno sguardo lanciato all’attualissimo nodo della Regina, dove giusto questo weekend si è registrata una coda ferma per circa cinque ore.
«C’è bisogno di qualcosa di più significativo e strutturale di rotonde, semafori e marciapiedi - ha concluso Cosenza - Ma per fare infrastrutture strategiche serve una programmazione strutturale che coinvolga anche la Provincia e la Regione».
«E trasformiamo Como in Harvard»
Una città morta, dove nessuno vuole venire ad abitare e dove non ci sono servizi a sufficienza per invogliare le persone a prenderla in considerazione: è questa l’immagine emersa dagli interventi che si sono susseguiti ieri sera. «Per ripartire bisogna capire la nuova identità di Como» ha detto l’ex sindaco Sergio Simone.
Per Simone è impossibile pensare una città sulla scorta del modello lecchese, che ha continuato a fare della produzione industriale il proprio biglietto da visita: «Ormai parlare di Como come città industriale non ha senso, né possiamo pensare che diventi una città delle imprese al servizio delle nuove economie, dato che ormai di questi servizi si occupano le multinazionali e queste perlopiù sono a Milano». Decisamente più ambiziosa la proposta dell’ex primo cittadino che guarda alle due forze vive della città: il turismo («Ma Como non può esaurirsi in questo» ha specificato) e l’università.
«Non possiamo limitarci, come spesso facciamo, alle liti tra istituzioni» ha aggiunto Simone lanciando un’idea «che vola alto». «Con tutto quello che Trump sta facendo negli Usa all’istruzione universitaria, perché non portiamo il modello Harvard a Como? Como è una città di fama internazionale con un carattere universale e abbiamo la possibilità di avere due poli universitari forti. L’Insubria e poi tutto quello che si potrebbe fare al San Martino».
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