Viaggio in Ucraina: quelle vite sospese tra guerra e quotidianità

Il reportage Insieme a un gruppo di volontari. Camion di grano in coda per chilometri e bunker ovunque. La gente è a passeggio in centro, i ristoranti sono pieni, ma è una normalità solo apparente: poco distante cadono le bombe

Trenta lunghissimi chilometri di camion di grano in coda per il passaggio della dogana verso l’Unione europea e innumerevoli posti di blocco della polizia mano a mano che ci si allontana dal confine Ue: così oggi si viene accolti in Ucraina.

Sul taxi diretto a Chernivtsi - centro ucraino a cento chilometri dalla Romania - c’è Anastasia. Piange sommessamente con la testa appoggiata al finestrino e il passaporto ucraino stretto fra le mani: sta rientrando nel paese da cui tutti vogliono scappare, per un funerale. Non dice chi è morto e non dice come, e nessuno ha il coraggio di chiederglielo.

Quando si cammina per strada a Chernivtsi bisogna ricordare due cose e si imparano molto in fretta: il passaporto deve sempre essere a portata di mano e la spiegazione della propria permanenza nel paese pronta, perché nessuno passa inosservato e chiunque può essere una spia. A spiegarcelo, nel corso di una missione umanitaria partita da Como per supportare un orfanotrofio che ospita bambini disabili rifugiati di guerra, è un soldato ucraino che ha passato tutta la sua vita in Italia.

La paura

«I bielorussi hanno documenti falsi e si appostano nei luoghi più affollati - ci racconta, stringendo tra le mani il mitra che non abbandona mai - poi tramite la geolocalizzazione mandano segnalazioni ai russi e in quelle aree vengono lanciati i missili. Non importa che si tratti di chiese o di scuole o di altri obiettivi civili: per questo controlliamo i documenti di tutti». Lui è partito questa primavera per arruolarsi nell’esercito ucraino, come volontario, lasciando la madre in Trentino.

A poche settimane dallo scoppio del conflitto, a Chernivtsi, nella parte più occidentale del paese, la guerra non ha aspettato a farsi sentire e la sua ombra lunga ancora oggi arriva fino a qui. «A marzo ricordo tantissime persone che dormivano in macchina - testimonia Roman Molofyi, volontario ucraino dell’associazione “Me Ucraina Yedina” (“Siamo una sola Ucraina”) che nel centro della città ha adibito un ex sanatorio a rifugio per oltre 250 persone provenienti dall’est del paese - andavamo a bussare alle portiere per dire loro che avevamo un posto dove potevano stare al caldo e al sicuro. Ma c’era tanta paura, le sirene anti-bomba suonavano anche quattro volte al giorno e bisognava correre nei bunker».

Le testimonianze

Questo accadeva a marzo, ma la situazione oggi a Chernivtsi, solo apparentemente un’oasi di pace in un paese in guerra, non è migliorata di molto. Certo, per le strade non si vedono più rifugiati del Donetsk o del Donbass accampati alla bell’e meglio, ma i marciapiedi pullulano di militari armati fino ai denti, alle finestre si scorgono i sacchi di sabbia predisposti in caso di esplosioni e le sirene anti-bomba risuonano ancora ogni tanto nel distretto.

Sono dettagli che tolgono il fiato, soprattutto perché giungono inaspettati mentre si passeggia lungo le vie di una città che, tutto sommato, potrebbe essere un qualsiasi centro europeo, con le vetrine illuminate e piene di prodotti. Qui i ristoranti sono affollati di gente di sabato sera e nei locali gruppi di amici bevono in allegria, come se la guerra non ci fosse.

Ma la guerra c’è e te ne accorgi quando una ragazza ti racconta dei suoi tanti amici partiti per il fronte: non è obbligatorio farlo, ma registrarsi agli uffici militari del distretto sì. «Se poi vieni chiamato, nel caso ci fosse esigenza di più soldati a est, allora non puoi farci niente: devi andare al fronte».

I prezzi aumentati e i famigliari in pericolo

Sono storie che si susseguono uguali e al tempo stesso diverse: c’è chi ha visto parte della famiglia lasciare il paese, per stare al sicuro ed evitare l’arruolamento, chi invece non può proprio andarsene perché qui ha un’attività che ancora funziona bene e permette di vivere. E tutto questo perché a Chernivtsi, nonostante la paura e l’odore acre della guerra che spira nell’aria, si continua a vivere. «Non sono stato chiamato al fronte e non mi sono arruolato come volontario perché ho tre figlie piccole - racconta Giorgio, titolare dell’unico ristorante rimasto aperto in un paesino altrimenti deserto - La guerra qui si sente eccome, anche se non si presenta come in televisione. I prezzi sono aumentati e la paura per i nostri cari che si trovano più a est è costante». E la si sperimenta sulla propria pelle quando di notte, come un’eco lontana, il suono delle sirene raggiunge il letto dove si riposa. Le bombe, però, rassicurano i locali, su Chernivtsi non cadono. Ma sono vicine, a 40 km e la guerra è rapida a muoversi, più di quanto chiunque pensi.

Te ne accorgi all’improvviso: una mattina leggi sul telefono la notizia che il ponte Kerch, fondamentale collegamento strategico tra Russia e Crimea, ha preso fuoco e i responsabili forse sono gli ucraini stessi. Il giorno dopo, mentre viaggi verso la dogana che all’entrata avevi attraversato con inspiegabile facilità, ti trovi imbottigliato in una coda senza fine. Chi vive in Ucraina sa che la Russia è lesta alla vendetta e così, nella notte in cui ti lasci alle spalle questo paese dove la guerra si è intrufolata subdolamente in ogni angolo, i missili si preparano a cadere anche dove da tempo regnava un’apparente tranquillità.

In centro a Chernivtsi dispiegamento di polizia e militari dopo le esplosioni al ponte Kerch, collegamento strategico tra Russia e Crimea. Video di Toppi Martina

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