Viale Geno, il ragazzo era in Italia da poco
I suoi genitori ancora non sanno nulla

Sbarcato da minorenne a Lampedusa lo scorso gennaio, era ospite di una comunità - Solo ieri in tarda serata la polizia è riuscita a contattare alcuni parenti e ad allertare il consolato

Como

C’è un doloroso retroscena nella storia, già parecchio triste, del giovane tunisino di 18 anni salvato lunedì dalle acque del lago di viale Geno.

Soltanto nella tarda serata di ieri - dopo avere svolto tutti gli accertamenti e le ricerche possibili - i poliziotti della squadra volante della polizia di Como sono riusciti a rintracciare qualche suo parente, qualcuno residente in Svizzera, qualcun’altro residente in Italia, zii e cugini ai quali dare notizia del dramma e delle condizioni in cui il ragazzo versa tuttora, in un letto del reparto di Rianimazione dell’ospedale di Lecco.

L’obiettivo era, ed è, quello di raggiungere i genitori in Tunisia, che ancora non sanno nulla di quanto è accaduto. Del resto neppure i tre amici, suoi connazionali, che si trovavano assieme a lui lunedì sono stati in grado di fornire indicazioni utili, un indirizzo, un nome, un numero di telefono, niente di niente.

In questura, tuttavia, è stato possibile ricostruire quantomeno la storia di questo ragazzo, diventato maggiorenne appena lo scorso mese di maggio e arrivato in Italia a gennaio, sbarcando su una delle solite carrette del mare a Lampedusa. In quanto minore non accompagnato era stato affidato a una comunità del Monzese, i cui responsabili si erano presi cura di lui (così come degli altri amici che lo hanno accompagnato a Como, loro sì ancora minorenni) consentendogli poi di affrancarsi, di trovarsi un lavoro, di cominciare a pensare a un futuro.

Dalle parti di Cavenago Brianza - dove risulta formalmente residente - aveva trovato un lavoro in una pizzeria, il cui titolare, oltre a corrispondergli un piccolo stipendio che lo rendeva autonomo, gli aveva messo a disposizione anche un alloggio, primo passo verso l’indipendenza.

L’altro giorno, con gli amici, la scelta di prendersi qualche ora di svago sul lago: il tuffo, un paio di bracciate, poi il collasso e i tentativi di salvataggio messi in atto prima da alcuni passanti e da un turista, subito dopo dai poliziotti di una pattuglia della stradale, richiamata a gran voce da chi stava lungo la riva.

Dal primo pomeriggio di lunedì quel ragazzino è ricoverato in condizioni disperate all’ospedale di Lecco. Le speranze che riesca a riprendersi - dopo avere trascorso sott’acqua un periodo lunghissimo, si parla di almeno una decina di minuti - le speranze sono davvero minime.

C’è il timore, soprattutto che i traumi indotti dalla prolungata anossia al cervello lascino strascichi permanenti, e irrimediabili.

La speranza, non solo in questura, è quella di riuscire a rintracciare i genitori in Tunisia e portarli a Lecco quanto prima.

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