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Giovedì 31 Luglio 2025
Adriana Asti, addio alla signora del teatro
Lutto Scomparsa a 94 anni la grande attrice, protagonista nei lavori di Strehler, Visconti, Pasolini e Bertolucci. Diverse volte sui palchi del nostro territorio: l’ultima nel 2010 per interpretare “Giorni felici” di Samuel Beckett

Il primo ricordo di Adriana Asti, vivido, risale a quindici anni fa. Era il gennaio del 2010 e il cartellone della Stagione Notte, al Teatro Sociale di Como, proponeva la pièce “Giorni felici” di Samuel Beckett, con la regia di Robert Wilson. All’apertura del sipario, su una scena semibuia, ecco una donna, Winnie, sprofondata, fino alla vita (e progressivamente fino al collo) dentro ad una buca, in un cumulo di sabbia. Illuminato da un faro potente, di luce bianca, il volto espressivo della Asti brillava nell’oscurità.
Gli iconici e lunari occhi dell’attrice («occhi enormi, sempre in ascolto» scriveva Wilson nelle note di regia) ipnotizzavano lo spettatore, portandolo nel mondo surreale e grottesco dei due personaggi del dramma beckettiano, la ciarliera Winnie e il taciturno marito, Willie, interpretato, in quell’edizione, da Yann de Graval.
Discreta e carismatica
Queste immagini, di una serata di grande prosa, possono ben introdurre un omaggio alla grande attrice, scomparsa, l’altra notte, nel sonno, alla veneranda età di 94 anni. Una morte serena e in punta di piedi, nello stile del personaggio, discreto quanto carismatico. Adriana Asti è stata, anzi è, attrice del nostro più grande teatro, del miglior cinema e anche di buona tv, un gigante in un corpo minuto da antidiva, statura internazionale ma forti legami con la “sua” Milano, dove era venuta alla luce, nell’ormai lontano 1931, il 30 aprile, per l’esattezza. Nata in una famiglia borghese milanesissima, segnata da profonda inquietudine fin dall’infanzia, Adriana, appena diciottenne, decise di partire al seguito di una compagnia teatrale itinerante, “Il Carrozzone”.
Non aveva mai recitato ma l’istinto la portava altrove. I genitori la lasciarono andare, credendo in un temporaneo colpo di testa. Non ritornò più e visse il teatro prima e il cinema in seguito, come un grande sogno, un antidoto alla noia e alla tristezza. In una recente intervista rilasciata a chi scrive per La Provincia, la grande attrice raccontava: «Ho cominciato giovanissima, in palcoscenico, per fuggire al destino che era stato preparato per me. Volevo trovare la mia strada anche se ero inconsapevole di quale percorso stessi per intraprendere. Il teatro è il mio posto, perché è il luogo dell’illusione…». Il palco, come detto, fu il primo grande amore professionale.
Con i più grandi
Adriana Asti ha lavorato tantissimo e con i più grandi registi. Da Giorgio Strehler a Susan Sontag, da Mario Missiroli a Vittorio Gassman vincendo anche il Premio Eleonora Duse nel 1992 per La Maria Brasca di Giovanni Testori con la regia di Andrée Ruth Shammah. Natalia Ginzburg fu convinta dalla stessa Asti a scrivere per lei “Ti ho sposato per allegria”.
Il teatro è stato davvero la casa della Asti che ha continuato a recitare almeno fino al 2019. Fu interprete di sé stessa, ma in chiave autoironica, in “Memorie di Adriana”, di Andrée Ruth Shammah nel ’17 e due anni dopo debuttò al 62° Festival di Spoleto con “La ballata della Zerlina” di Hermann Broch, con adattamento di René de Ceccatty, per la regia di Lucinda Childs. Una carriera lunga e ricchissima che però non faceva della Asti una star. «il teatro non è un posto per prime donne e questa è una consapevolezza liberatoria». Anche sul rapporto con il proprio passato, l’attrice amava glissare. Proprio in occasione di “Memorie di Adriana” aveva rivelato: « A volte, è più saggio e utile dimenticare. Il passato può essere importante, ma più prezioso è il futuro. Inutile chiudersi in quello che è stato, se non per vivere appieno il qui ed ora». Nell’immaginario dei più, Asti è inoltre una figura di primo piano nel cinema italiano del Dopoguerra.
Da “Rocco e i suoi fratelli” diretto da Luchino Visconti nel 1960, a “Accattone” di Pier Paolo Pasolini, l’anno successivo. Da “Prima della Rivoluzione” di Bernardo Bertolucci a “Il fantasma della libertà” di Bunuel, da “La meglio gioventù” di Marco Tullio Giordana, nel 2003 a “Pasolini” di Abel Ferrara, del 2014. Ecco alcuni titoli solo per citare alcuni tra i numerosissimi film che la videro portare sempre, in ogni storia, la sua leggiadria che sapeva trasformarsi per risultare convincente in ogni situazione, dal tragico al grottesco. Come molti ricordano fu anche interprete per Tinto Brass, per il film “Caligola” del 1979 che suscitò grande scandalo. Ma Adriana Asti era una attrice e soprattutto una donna libera, capace di scelte controcorrente e persino provocatorie.
Per concludere questo saluto riportiamo le ultime frasi dell’intervista citata in precedenza: «Il palcoscenico, il set del cinema creano lo spazio dove proporre la finzione che il pubblico vuole e accoglie. D’altra parte, proprio da quella finzione possono emergere, prepotenti, le verità non dette. Questa meravigliosa condizione mi ha sempre affascinato. Periodicamente, ad esempio, si parla della morte del teatro, eppure, inspiegabilmente, il palcoscenico torna sempre protagonista, come in un rito eterno. Anzi, proprio nei momenti difficili, sa dare il meglio di sé, esprimendo nuovi talenti». Buon viaggio, Adriana.
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