Cinquant’anni fa
Una notte di calcio
si fece leggenda

Italia-Germania 4-3Rivera pennellò il gol decisivo ma poi gli fu negata la finale. Mazzola e la “staffetta”

Italia-Germania 4-3 compie 50 anni. E li dimostra tutti. Basta andarsela a rivedere, ormai l’abbiamo consumata, per l’ennesima volta. Nei 90 minuti regolamentari è una signora, stanca, lenta che non nasconde le rughe. Pallido è l’azzurro, il bianco opaco. Poi, nei supplementari, esce un’altra persona. Una che vuole regalare gli ultimi sogni, attirare ancora qualche sguardo: truccata, pettinata e fasciata con un abito capace di mettere in risalto i punti giusti. In fondo, la partita di cui si è scritto, detto, sceneggiato e filmato più di ogni altra, è anche la metafora della politica del nostro paese di quell’epoca, il 1970. Nei primi 90 minuti si nota una plastica rappresentazione della Dc vincente (almeno fino a quando gli dei del calcio non ci mettono la coda) ma paludata e in grisaglia, il partito, come si diceva allora in una fortunata battuta, di Piccoli, Storti e Malfatti. Nei supplementari, in quei 21 minuti incredibili è il ’68: fantasia, rabbia, illusione, speranze e libertà.

Gianni Brera ed Eupalla

Se Gianni Brera identificava in Eupalla la dea che sovrintende alle sorti del pallone calciato e ogni tanto interviene a mescolare un po’ le carte, gli dei non possono essere estranei a Italia-Germania 4-3 che senza il tocco divino sarebbe stata una banale e sonnacchiosa, pur se semifinale dei mondiali, Azzurri-Bianchi 1-0: decide Boninsegna.

La verità che questa disfida destinata comunque all’eternità, comincia molto prima di quel 1970. Avete presente l’ex ministro Calenda? È stato suo nonno, Luigi Comencini, a firmare il più bel film sull’8 Settembre del 1943, da cui parte tutto. Quello in cui il tenente Innocenzi Alberto Sordi chiama trafelato il superiore: “Signor Colonnello, i tedeschi si sono alleati con gli americani. Ci sparano addosso…”. Forse il calcio non sarà la continuazione della guerra con altri mezzi, però…

In una cornice così, fascinosa e terribile al tempo stesso, volete che gli dei del pallone non ci mettano lo zampino?

“Nato a Betlemme”

Anche perché uno dei protagonisti di questa storia, anzi il primo attore, vanta una biografia che si intitola addirittura “Nato a Betlemme”. E il calcio che sa fare Gianni Rivera, ha davvero dentro qualcosa di divino. Il capitano del Milan è il miglior giocatore italiano del momento, il secondo di sempre dietro al Peppin Meazza e davanti a Roby Baggio. L’anno prima di quel mondiale ha conquistato il pallone d’oro (nessun italiano prima di lui), dopo aver guidato i rossoneri alla vittoria della loro seconda coppa dei campioni battendo in finale l’Ajax di Cruijff ancora ai prodomi della rivoluzione calcistica olandese. Eppure in quel mondiale del Messico, Rivera non è tra i titolari dell’Italia. Anzi, salta tutte le tre prime sonnacchiose partite degli azzurri nel girone eliminatorio. Un po’ per il suo carattere che lo porta sempre a dire quello che pensa. Figuriamoci quando si accorge che, nella complicata sostituzione dell’infortunato Anastasi, il ct Valcareggi manda a casa il fido “Basletta” Lodetti che in campo aveva anche il compito di correre in vece del suo capitano rossonero. Deve arrivare Nereo Rocco, padre putativo di Gianni, per placare l’ira di quello che Brera ha ribattezzato “l’abatino.” Senza però dargli del “mona” come il Paron era solito fare con tutti, ma mai con il suo capitano dai piedi fatati. E poi ci si mette subito l’invidia degli dei, nello specifico di Montezuma che colpisce Rivera con la sua celebre maledizione. Intanto, però l’Italia, per l’unica volta senza juventini nell’undici titolare, ha trovato il suo equilibrio. Il blocco è quello del Cagliari, campione d’Italia, straordinaria e unica impresa, affiancato dagli interisti Mazzola, Burgnich, Facchetti, Bertini e Boninsegna, dal milanista Rosato e del fiorentino Picchio De Sisti. Quando Rivera è pronto, diventa un problema. Non si può lasciar fuori il più forte. E allora qualcuno, forse non il ct Valcareggi, inventa la staffetta con Mazzola: primo tempo all’interista, secondo al rivale di tanti derby. Contro il Messico, nei quarti di finale, Rivera entra e cambia la partita. Gianni segna e manda in gol perfino Gigi Riva, fin lì all’asciutto anche per il mal d’amore che si è portato dietro.

Le scarpette di Sandrino

Nella semifinale Sandrino non si aspetta il cambio e nell’intervallo tiene la scarpette. Valcareggi gli impone di levarle e manda in campo Rivera che si adegua all’andazzo con cui l’Italia difende il vantaggio siglato da Boninsegna contro i tedeschi. La partita è praticamente finita quando Eupalla interviene. Karl Heinz Schnellinger è il più italiano dei tedeschi. Difensore, da una vita gioca nel nostro campionato: prima nella Roma, adesso nel Milan. È al centro di una di quelle gag che Rocco utilizzava per allentare le tensione dei suoi prima delle partite. Una volta il tecnico triestino che era solito impartire le istruzioni a voce: “Ti te prendi il nove, ti il diesi” ecc… , decide di fare come gli allenatori “seri” e prende la lavagna. Inizia a scrivere la formazione: ok Cudicini, Anquilletti perde tutte le doppie, quando arriva al numero 3, cioè Schellinger, butta via il pennarello: la risata collettiva gli fa capire che ha centrato l’obiettivo. Insomma, Carlenzo, in quell’Italia-Germania, si trova nell’area avversaria, territorio per lui del tutto inesplorato, solo perché la gara sta finendo e vuole raggiungere gli spogliatoi. Invece un pallone crossato da sinistra raggiunge lui che lo butta dentro in spaccata, accendendo la miccia dei supplementari. Qui la sarabanda è stranota. Segna Gerd Muller, cannoniere del mondiale, un Pippo Inzaghi ante litteram, pareggia (pensa te) un altro terzino Tarcisio Burgnich. Poi Riva ci porta sul 3-2. Poco dopo però c’è un calcio d’angolo per i tedeschi: la palla è colpita di testa da Seeler che la manda verso Muller, il quale la colpisce in qualche modo per indirizzarla verso l’angolo su cui è appostato Rivera che, per un altro scherzo degli dei, si scansa e lascia che lemme lemme la palla entra in porta. Quello che di irriferibile dice il portiere Albertosi a Rivera è stato riportato senza censure in un’intervista che alcuni giorni fa l’ex numero uno azzurro ha concesso al Fatto Quotidiano. Il capitano del Milan racconterà poi che ha quel punto non gli restava altro che far gol. Se fosse tornato in Italia con il fardello della responsabilità della sconfitta in una partita già comunque “eroica” sarebbe stato massacrato da suoi numerosi nemici di penna. «Ho pensato – dirà poi Rivera -: adesso prendo la palla, dribblo tutti e segno. Poi mi sono trovato davanti al muro delle maglie bianche e ho cambiato idea». Gianni si libera del pallone che finisce a Boninsegna sulla fascia sinistra.

Il numero 14 alla roulette

Il centravanti con la faccia più da centravanti di tutti, apre il rubinetto della riserva dell’ossigeno – si gioca da 110 minuti a 2.200 metri con l’aria rarefatta - , supera di slancio l’avversario Schulz e butta la palla in mezzo. Quel passaggio è un tiro di dadi, o meglio una puntata alla lotteria. E il numero esce: è il 14, quello di Rivera che corre da solo verso il portiere Sepp Maier. Quest’ultimo, che al posto delle mani ha due badili con le dita, cerca di anticipare la parata buttandosi alla sua sinistra. Gianni aspetta il pallone e poi, di prima, calcia il più bel rigore in movimento della storia. Perfetta l’impostazione: quella che fa felice qualunque allenatore di scuola calcio se vede un bambino che riesce a farla. Corpo in asse, piede (sinistro) d’appoggio allineato con il pallone, il cuoio colpito con la parte centrale del piatto destro che incrocia e va a soffocare di baci l’angolino destro della porta. Italia-Germania 4-3, non succede più nulla, perché nulla potrebbe più accadere. Gli dei a questo punto diventeranno invidiosi e in qualche modo metteranno nella testa di Valcareggi l’idea di non ripetere nella staffetta nella finale con il Brasile e di umiliare Gianni mandandolo dentro solo all’84’, con gli avversarsi sul 3-1 già campioni di mondo. Una scelta che costerà al ct i pomodori dei tifosi al rientro in Italia. E pensare che in quel mondiale, Sandro Mazzola non fece nulla di memorabile: né gol né giocate mirabolanti. Se lo si ricorda è proprio per la luce riflessa della staffetta con Rivera. Ma così ha voluto la dea Eupalla.

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