Diana e Camilla, la scuola delle mogli

Il saggio Apparentemente molto lontane, le due consorti di re Carlo III svelano tratti comuni nel libro di Luisa Ciuni. Entrambe, in un contesto di oppressione, hanno plasmato con intelligenza la propria identità: questo le fa amare

Le “principesse felici” non esistono neppure nelle fiabe. Probabilmente non ci sono mai state, perché cosa succeda dopo il sipario sul lieto fine (“e vissero tutti felici e contenti”) è materia sempre trascurata dalla tradizione popolare, dal momento che la routine mette a dura prova anche le storie d’amore più appassionate.

Camilla e Diana, mogli di re – la prima in quanto attuale consorte di Carlo III d’Inghilterra, la seconda come prescelta per un destino regale, in un legame naufragato nel divorzio (1992) – si smarcano finalmente da archetipi fiabeschi (la rivale arcigna, la bella infelice) per consegnarsi nella ben più interessante verità di persone. Oppresse entrambe, da una “ditta” antiquata (la Royal Family), presentano aspetti sovrapponibili, primo tra tutti quello di essere entrate, in un modo o nell’altro, in sintonia con il sentire popolare.

Due vite allo specchio

Il ritratto che Luisa Ciuni, giornalista e autrice di best seller sulla Royal Family, ne tratteggia in “Le mogli del re” (Cairo editore), attingendo a una spettacolare quantità di fonti, muove su binari paralleli. Operazione non facile, perché Camilla e Diana, al di là del legame con Carlo, sono distanti su tutti i fronti: età, gradi di nobiltà, eleganza, appeal comunicativo. E se il gossip le ha inquadrate, da subito, come “rivali”, Ciuni le restituisce all’esame della storia qualificandole come “vittime”.

Parola forse eccessiva, in questi tempi di massacri, dai femminicidi alle guerre in corso, tuttavia coerente con il quadro asfissiante in cui entrambe si trovarono loro malgrado a muoversi. Le vicende, note a tutti, appaiono in realtà ben più complicate, con l’irruzione di rivali (queste sì) di Camilla, quali l’australiana Lady Kanga Tryon e di Diana, tale Amanda Knatchbull, a un passo dall’essere scelta al posto di Lady Spencer.

Interessante è rendersi conto delle strategie che hanno portato Diana e Camilla a costruire un’immagine di sé che le ha rese vincenti nell’immaginario popolare, sia pure con velocità diverse. Una “sculpture de soi” per citare il saggio di Michel Onfray che ha saputo ottenere il massimo per determinazione e autocontrollo, nel caso di Camilla; creatività empatica in quello di Diana. Se la prima ha scelto, negli anni del matrimonio con Carlo, di mantenere ben salda la propria indipendenza, nel cottage di Ray Mill, dove ricevere figli e nipoti, la seconda aveva immediatamente colto il proprio potenziale emotivo (e manipolatorio), fin dalle prime paparazzate, quando indossava golfini improbabili e si accendeva di rossore per la timidezza.

Strategia, almeno per Camilla, fruttuosa anche con la suocera Elisabetta II, che non l’ha mai amata «ma alla fine - scrive Ciuni - l’ha stimata e ha fatto in modo che potesae diventare regina a sua volta». Questa capacità di modellarsi, senza derogare alla propria personalità, ma anzi facendola maturare, è la chiave antropologica del saggio di Ciuni. E la risposta, tra le righe, all’incapacità di Meghan Markle di far breccia nel cuore del popolo. Ma questa è un’altra storia, non affrontata da un libro che va al di là delle biografie reali, spesso cloni delle riviste di gossip.

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