Flauto rock, altra magia dei Jethro Tull

Album Esplosione creativa per Ian Anderson autore di “Rökflöte”, un tributo alla tradizione di Norvegia e Islanda. Tornano le atmosfere che hanno reso famoso il gruppo

Si intitola “Rökflöte” il nuovo album del Jethro Tull, il secondo in due anni dopo un lungo silenzio che, per la verità, non c’è mai stato. Semplicemente Ian Anderson è tornato a torna a esibirsi e a incidere utilizzando la storica sigla che aveva tentato di accantonare, ma mai del tutto, negli ultimi anni. Aveva “ritirato il nome”, così disse, un nome che non aveva mai amato troppo. È quello, si sa, di un agronomo vissuto tra Sei e Settecento, e venne scelto provvisoriamente proprio nel periodo in cui la Island mise sotto contratto la band che si ritrovò con un appellativo suggestivo, ma fuorviante.

Tanti, sosteneva quello che da quasi subito si è dimostrato guida e unico elemento intangibile del gruppo, sono convinti che lui si chiami così (recentemente circolava una cartella stampa ufficiale che iniziava con «Jethro Tull è uno dei più grandi artisti rock-progressive di tutti i tempi»...). Nel chiudere quella porta aveva anche eliminato tutti i musicisti dell’ultima formazione – tra i quali il chitarrista di lungo corso Martin Barre che ha suonato in tutti i lavori a partire dal secondo – senza troppi complimenti, per proseguire da solo.

A differenza di quanto era capitato con le sue opere solistiche quando la band era attiva, i dischi successivi si potevano considerare a tutti gli effetti la prosecuzione del percorso della band. Ma la dura legge della disattenzione del pubblico generico (ben espressa nel “Postulato di Pink Floyd”) fa si che pure se non è cambiato nulla a parte il nome, ecco, quel nome si rivela importantissimo per la riconoscibilità.

Così Anderson ha adottato, negli anni, vari escamotage, compresa un’opera rock dedicata a... Jethro Tull. Alla fine per dare massima visibilità ai brani dell’album “The zealot gene” (che, a scanso di equivoci, riportava solo il suo faccione in copertina) ha rivitalizzato il marchio di fabbrica.

Ispirazione nordica

Ed è in piena esplosione creativa se è vero che “Rökflöte” è arrivato a poco più di un anno di distanza dal suo predecessore.

È un disco particolare fin dal titolo, che non è semplicemente un modo peculiare di scrivere “Rock flute”, ma un omaggio alla tradizione norrena, là dove “rök” significa fato, destino.

E tutto l’album è intriso di suggestioni nordiche. In origine, peraltro, avrebbe dovuto essere interamente strumentale – Anderson è consapevole che la sua voce non è più quella di un tempo – ma, evidentemente, con la rinascita del nome della band, ha deciso di dare un altro corso a quei brani. Si parte con la narrazione di “Voluspo” per proseguire con “Ginnungagap” ci riporta alle atmosfere che hanno reso famoso in tutto il mondo il marchio Jethro Tull. “Allfather” si gioca sui tempi dispari, à la “Living in the past”.

Anche “The feathered consort”, “Hammer on hammer”, “Wolf unchained” sono sospese tra presente e passato. “The perfect one” si distingue per la gentilezza della melodia, “Trickster (and the mistletoe)” per i cambi d’atmosfera, “Cornucopia” per le sonorità bucoliche. Un disco che si inserisce perfettamente nella tradizione del gruppo mentre Anderson sta già lavorando al sequel.

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