Fuggire da casa. Quando la famiglia
diventa una gabbia

Analisi Tanti giovani lasciano le mura casalinghe per sentirsi liberi e scoprire nuove versioni di se stessi. Il consumismo ha alterato il rapporto genitori-figli

L’Italia è un paese fondato sulla famiglia. Lavoro, diritti, salute, pace sono parole bellissime, ma non abbastanza esaustive quando siamo chiamati a descrivere il nostro paese. La vera parola è: famiglia. Un termine spesso carico di retorica, eppure con una dimensione sacrale. Lo slogan “Dio, patria e famiglia”, anche quando lo neghiamo, non ci ha mai davvero abbandonato, perché la famiglia è uno di quegli elementi convenienti per fare struttura in un paese che struttura non ha.

In Italia tendiamo sempre a distinguere la popolazione tra persone ricche e persone povere, quando in realtà il vero termometro dell’agiatezza cambia a seconda di chi gode o meno dell’appoggio della famiglia. Quando serve un sostegno negli studi, per una raccomandazione sul lavoro, nell’accudire i nipoti, nelle fideiussioni sul mutuo. Ecco che la famiglia risponde. Serve. È prima di tutto utile, per vivere.

Legami di sangue e non

Questo tipo di organizzazione ha sempre riconosciuto la protezione delle rispettive appartenenze, senza mai riconoscere il bene in quanto tale.

Abituati a vivere in un sistema chiuso in se stesso, i rapporti di affidabilità vengono considerati tanto più forti quanto più vicini sono i legami di sangue: se sei mio cugino, allora ti aiuto; se invece sei una persona a cui voglio bene, ma non abbiamo un grado di parentela, non sei una priorità. Il “noi” della consanguineità si contrappone a un “loro” degli estranei senza legami biologici.

«Buoni consumatori»

In un’intervista del 1974 Pier Paolo Pasolini parlava in questi termini sul tema: «La famiglia non è altro che una piccola difesa meschina che fa l’uomo per difendersi dal terrore, dalla paura e dalla fame. Ma è anche il covo delle cose più belle dell’umanità. Le due cose sono orrendamente ambigue e inestricabili. Tutto ciò che di male e bene l’umanità ha fatto finora è legato al rapporto ambiguo tra genitori e figli. Siamo passati da un’Era in cui la famiglia era il nucleo della società preindustriale, a una civiltà tecnologica dove la famiglia non serve più. Si sta dissolvendo, non è più un codice sociale. I figli passano la maggior parte del tempo fuori dalla famiglia. I prodotti si collocano meglio presso individui isolati e non verso nuclei complessi. Il potere farà in modo di generare buoni consumatori, non buoni figli».

La società dei consumi ha nel suo dizionario un verbo guida: categorizzare. Perché rendere i soggetti riconoscibili, dividendoli in settori, è la chiave per generare e offrire prodotti adatti alle esigenze di ognuno. Quindi categorizzare vuol dire soprattutto definire, etichettare, escludendo la possibilità che una persona possa cambiare le sue esigenze, i suoi piaceri, essere qualcos’altro. La logica consumistica è ideale per sostenere un’idea cementizia dell’individuo: ciascuno deve essere una cosa sola, occupare un solo posto nel mondo, avere una sola identità che non può mai essere tradita.

Per questo quando Pasolini sentenzia che «la famiglia non serve più» si riferisce al fatto che, nel corso degli anni, il sistema di pensiero consumistico è stato assorbito anche dai genitori, che un tempo ostentavano il loro lavoro come tratto più o meno distintivo, mentre oggi guardano ai figli come al loro spazio performativo. “Così come ti ho fatto, ti distruggo”, è la frase che spesso sentiamo dire a mamme e papà, che tradotta significa: non accetto che tu sia diverso da me che ti ho generato.

Figli che scappano

Le radici possono nutrire ma anche stringere. A casa puoi essere protetto ma anche fossilizzato. E la conseguenza qual è? Che i figli scappano, perché non accettano il rischio di dispiacere ai genitori. Non sopportano cioè l’idea che l’affetto debba essere visto come un premio per essersi comportati come loro volevano. Sono tanti i giovani che fuggono, ed è sciocco pensare che questa tendenza sia dovuta solo a motivi di studio o lavoro. La distanza cura, soprattutto quando nessuno sa chi sei e si aspetta qualcosa in base a quello che eri. Cura, perché lontano da casa puoi pensare davvero di essere una cosa nuova, senza portarti dietro le altre versioni che ti hanno accompagnato negli anni.

C’è una libertà nell’essere sconosciuto che non si può trovare nelle mura di casa. Quando sei uno tra tanti, quando nessuno sa chi sei, devi metterti in discussione ogni giorno. È un paradosso meraviglioso: riesci a vederti proprio quando gli altri non ti vedono. Partire significa vedersi da fuori. E quindi, possiamo davvero immaginare nuove forme di organizzazione sociale? Nuovi patti d’affetto o dinamiche in cui crescere vite? Qual è il momento giusto per uscire di casa?

La famiglia è come il sole: piace quando hai una vita libera, quando puoi godertelo per abbronzarti, sentirti protetto e accudito. Quando brucia sulla schiena invece, quando acceca gli occhi e altera la salute, allora sì che inizi a odiarlo. La famiglia è una risorsa non quando ti chiede di fare ciò che non faresti, quando ti vuole convincere a essere quello che non sei, ma solo quando è disposta ad amare ciò che di te cambia continuamente. Allora non sarà necessario scappare. Nessun uccello si sognerebbe mai di fuggire se non si sentisse rinchiuso dentro una gabbia.

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