
Cultura e Spettacoli
Martedì 03 Giugno 2025
Giancarlo Vitali, artista del quotidiano
Mostre A Bellano il museo dedicato al pittore che amava rappresentare i suoi concittadini in grandi tele. Più di cento opere in un’esposizione permanente utile a indagare il ciclo della vita e il mistero della morte

Nella piazza a lago di Bellano ci sono due tipi di panchine, quelle orientate verso il lago e quelle che, al contrario, guardano verso il paese. Se cercate gli abitanti del piccolo borgo della sponda lecchese del Lario li trovate lì, all’ombra dei grandi platani, spalle al lago, con i suoi battelli e le vele spiegate, mentre osservano i passanti: la turista che si fa ritrarre dal marito davanti al banchetto che vende la lavanda, la nonna che spinge il passeggino, i ragazzi che si gustano un gelato.
Ogni tanto scambiano qualche parola tra di loro o con chi si siede nella panchina accanto. Il tempo scorre lento, nonostante le strade siano sia oggi invase dai turisti, che si siedono alle loro spalle per godersi la vista del lago. Proviamo a immaginare così un pomeriggio di Gianfranco Vitali, il pittore che ha trascorso gran parte della sua vita in questa località che oggi lo celebra dedicandogli un museo.
Protagonisti
I protagonisti dei suoi dipinti sono proprio quei concittadini, che frequentava quotidianamente, scambiando pensieri e attimi di vita. Che poteva osservare nelle piazzette e nelle strade, tra le contrade e le “strence”, i vicoli stretti che dal centro portano al lungolago, mentre svolgevano il loro lavoro quotidiano: il farmacista Pirola, Peppo Greppi, il dirigente, il calzolaio Pino Arrigoni detto Cecio, Franco il falegname, la madre che rammenda. Dipinti in cui – come scrive Chiara Gatti, curatrice del museo - il pittore «sfrangia il retroscena a pennellate ampie e veloci come schiaffi, getta luce con colori acidi – tedeschi – illividisce la pelle, stropiccia gli abiti, spettina i capelli».
Il museo a lui intitolato, che fa parte del BAC (Bellano Arte e Cultura), si trova proprio al centro del paese in un palazzo nobiliare di proprietà del Comune e ospita un’esposizione permanente di cento opere del pittore nato a Bellano nel 1929. Ad accogliere il visitatore è un grande ritratto della moglie Germana, messa in posa su una sedia come fosse una modella, mentre trattiene sulle ginocchia un panno a righe bianco e nero, che è anche il motivo di colore dominante scelto dagli architetti per la prima sala. Un’opera che non sfigurerebbe vicino a quelle di autori del “realismo magico” come Casorati. Del resto, fu proprio Carlo Carrà, protagonista di quel genere pittorico, ad avere parole di apprezzamento per Vitali quando espose nel 1947, a soli diciotto anni, alla mostra di Arte Sacra all’Angelicum di Milano.
Autoritratti
Ci sono poi i suoi autoritratti, che lo immortalano in diverse età, da quella più giovanile, impostato sul modello degli autoritratti bohémienne dei pittori romantici, all’età più adulta. Campeggia in questa prima sala un grande dipinto che raccoglie idealmente i suoi maestri, Velasquez, Picasso, Goya e Manet, attraverso citazioni di alcuni famosi dipinti che accolgono ritratti di bambini. E in alto a destra ci sono anche i suoi figli Velasco, Sara e Paola.
Anche loro al centro del mondo dell’arte. Che è poi, in particolare per Vitali, quello della vita. Gli altri due maestri, che hanno sostenuto criticamente il suo lavoro, Giovanni Testori e Gian Alberto Dall’Acqua si trovano, invece, con importanti ritratti a figura intera, nelle sale successive.Sono i grandi temi che ruotano attorno alla sua e alla quotidianità di ciascun essere umano quelli che Gianfranco Vitali interpreta nelle sue opere attraverso le persone che vivono accanto a lui: il ciclo della vita e il mistero della morte. Lo testimoniano anche i dipinti dedicati alle nature morte: ai fiori, rigorosamente recisi, nonostante i colori sgargianti e agli animali, pronti per essere serviti nei piatti. Sono esposti, non a caso in una installazione circolare al centro della sala che un tempo ospitava i banchetti della villa. Un omaggio particolare viene dato agli uccelli, anch’essi privi di vita perché generalmente impagliati o appena cacciati nei dipinti di Vitali, attraverso un murale realizzato dal figlio Velasco nel giardino della villa, il cui ultimo proprietario, il conte Agostino Loria, era appunto un cacciatore, ma che allo stesso tempo aveva dedicato l’intero ultimo piano della villa alla nidificazione delle rondini.
Il luogo del museo che meglio riesce a restituire questo stridente contrasto tra i due poli della vita e della morte è l’ultima sala, cui si accede da un piccolo cortile e poi attraversando uno stretto corridoio tra frutta, peperoni e lische di pesce. Tra i piccoli dipinti qui esposti, una giovanile natura morta datata 1948 dimostra come Vitali sia evoluto da una pittura più accademica a quella di matrice espressionista, fatta di pennellate che incidono come sciabolate la superficie cromatica, facendone emergere numerose varianti tonali, che alterano la forma senza mai negarla. Uno stile che lo distingue e lo caratterizza negli anni in cui si diffonde l’Informale.
Si scende infine in una grande sala interamente dipinta di un azzurro acceso dove si incontra e ci si scontra emotivamente con un vero spaccato della cruda realtà. Su una parete la serie di dipinti con girasoli appassiti, consunti dal sole, dall’altra teste bovine, bistecche e pezzi di carne rossa appesi, pronti per essere incartocciati dal macellaio. E infine, una tavola imbandita dove si è appena consumato un lauto banchetto. È il tema della “vanitas”, interpretato con ironia e lucida profondità.
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