Intervista a Marco Ansaldo, inviato speciale di Repubblica: «Noi e la turchia di Erdogan: ecco le mosse del sultano»

Esteri Marco Ansaldo, giornalista, chiuderà domenica sera l’edizione 2023 di Zelbio Cult parlando di geopolitica. «Cosa farà nei prossimi cinque anni? Spero in una svolta pienamente democratica. Le potenzialità ci sono»

Immaginiamo di poter allargare lo sguardo, dal bellissimo punto panoramico di Zelbio, affacciato sul lago di Como e sui suoi monti, fino ad un orizzonte più lontano, che guarda ad Est, verso una terra, la Turchia, oggi tornata, pur tra luci e ombre, al centro delle dinamiche economiche, politiche, strategiche internazionali. Potremo fare proprio questo, domenica sera, a partire dalle 21, nel Teatro di Zelbio, in piazza Rimembranze, 1, ascoltando il racconto affascinante, tra storia e attualità, del giornalista Marco Ansaldo.

Dialogando con Armando Besio, in occasione della chiusura di Zelbio Cult 2023, Ansaldo ci parlerà del “caso Turchia”, con il sempre più importante ruolo di quel Paese, nello scacchiere mondiale.

Lo spunto è il bel libro “La marcia turca. Istanbul crocevia del mondo”, edito da Marsilio, nella collana Specchi, in cui Ansaldo tratteggia un affresco composito della dinamica realtà turca odierna, dando particolare risalto al suo leader inossidabile, Recep Tayyip Erdogan. (L’incontro è ad ingresso libero. Info su www.zelbiocult.it). Per salutare la manifestazione culturale “su quell’altro ramo del lago di Como”, si torna dunque a parlare di geopolitica.

Ansaldo, questo libro è stato pubblicato prima di conoscere il risultato delle elezioni generali turche, su cui pesavano i sondaggi che avevano dato avanti il candidato delle opposizioni, Kemal Kilicdaroglu. Una bella scommessa…

Sì, ho consapevolmente puntato sulla rielezione di Erdogan. Come sa chi conosce un po’ la realtà turca e come le urne hanno dimostrato, nonostante tutto, è davvero difficile scalzarlo dal potere. Questa volta ce l’ha fatta per poche incollature (il leader turco ha superato il rivale con il 52% delle preferenze, ndr), ma l’importante, in questi casi, è vincere. Ora il presidente turco ha davanti a sé altri cinque anni di governo e noi tutti avremo a che fare con lui ancora molto a lungo.

L’occasione della scrittura è anche storica.

Certo. Quest’anno, il 29 ottobre, si celebreranno i cento anni dalla fondazione della Repubblica Turca a opera di Mustafa Kemal Atatürk, padre della Turchia moderna. Volevo intercettare questa ricorrenza, anche perché dal mio precedente libro sul tema (“Chi ha perso la Turchia”, Einaudi, 2011), molta acqua è passata sotto i ponti.

In effetti, molto è cambiato rispetto alla percezione che noi occidentali abbiamo avuto, fino a qualche anno fa, rispetto al ruolo di Istanbul nelle vicende mondiali…

Se fino agli anni Novanta, la Turchia appariva un paese tutto sommato periferico, fermo al passato ormai lontano dell’Impero Ottomano, oggi le cose sono molto cambiate. Erdogan ha capito molto bene e subito, l’importanza che nella storia e nell’oggi, ha la nazione turca, che, per motivi geografici, prima di tutto, gode di una centralità invidiabile tra Est e Ovest. Pensiamo, ad esempio al primato nel controllo delle coste del Mar Nero, che permette di svolgere un ruolo preminente. Ce ne siamo accorti tutti quando è stato siglato, nel luglio dell’anno scorso, il fondamentale “accordo sul grano”, in cui Erdogan ha giocato un ruolo da intermediario tra Mosca e Kiev. Un patto importantissimo, rimasto in vigore fino a poco tempo fa, che ha permesso di sfamare le popolazioni africane e ha avuto conseguenze anche sulle stesse economie europee. Il “sultano” turco, proprio grazie alla posizione strategica, sta giocando una partita ardita e a volte anche spericolata ed è diventato punto di riferimento di tanti leader mondiali che lo cercano, lo vezzeggiano e lo temono, anche. Pensiamo al ruolo che Erdogan gioca nella partita bellica tra Russia e Ucraina, ma anche alla crisi dei migranti e al ruolo che l’Unione Europea ha affidato, a suon di milioni di euro, al Paese, per fermare i flussi dal Sud Est.

Dunque, Erdogan e la Turchia sono ora al centro della scena. Una forza geopolitica che però stride con la debolezza economica. Che ne pensa?

In effetti, possiamo notare uno stridente e alla lunga pericoloso contrasto tra il prestigio politico e i problemi economici, aggravati dal disastroso terremoto del 6 febbraio. Mi pare però che il presidente turco stia agendo. Ha da poco nominato come governatrice della banca centrale Hafize Gaye Erkan, quarantun anni, prima donna a ricoprire l’importantissimo incarico. Per di più, è una donna giovane, non velata, con formazione e incarichi negli Stati Uniti. Un segnale chiaro. Ricordiamo che la Turchia è, anche per noi italiani un partner commerciale fondamentale. Abbiamo più di mille aziende che operano là e insieme creiamo uno scambio pari a 22 miliardi di euro. Si lavora bene insieme.

Quindi un legame da non recidere che bisogna tutelare, rispetto, ad esempio, alle mire cinesi?

Da decenni la Turchia, che per di più, è un alleato fedelissimo alla Nato, ambisce ad entrare in Europa. Credo che Erdogan voglia tornare a bussare alla nostra porta e sarebbe opportuno ascoltare, anche per aprire un nuovo fronte importante, di partnership a tutto campo.

Anche sulle questioni, assai spinose, dei diritti umani?

Questo è un punto delicato perché, se pensiamo, ad esempio, alla questione curda, essa viene percepita come una guerra al terrorismo a tutti gli effetti. La repressione sui leader curdi, intellettuali, uomini e donne, è un’ombra nera che grava sul governo di Erdogan.

E per quanto riguarda i migranti?

Il presidente turco risponderebbe che loro stanno già facendo più di tutti. Calcoliamo che sono cinque milioni almeno i rifugiati siriani in territorio turco. Certo, l’operato di Erdogan è criticabilissimo.

Resta però centrale. Un “convitato di pietra”?

È la figura che, dopo la scomparsa di altri leader storici longevi – ad esempio Margaret Thatcher – ha da più tempo il potere. Ora l’orizzonte è il 2028 ma, se la salute lo assisterà, non è escluso che Erdogan possa puntare ad un quarto mandato.

Il suo limite?

Come tutti gli autocrati è solo al comando, a parte una ristretta schiera di fedelissimi, di cui parlo nel libro. Ad oggi, non è individuabile il suo delfino.

Cosa si aspetta dai prossimi cinque anni del sultano?

Non scommetterei, ma spero in una svolta pienamente democratica. Le potenzialità ci sono tutte e Erdogan potrebbe diventare un nuovo padre della sua Turchia. Oggi è già entrato nella storia, ma potrebbe ritagliarsi un ruolo fondamentale e positivo, alla pari di Atatürk, leader altrettanto grande ma lontano per idee e orizzonti.

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