Picasso e il passato che diventa futuro «come una magia»

Arte Al Mudec di Milano apre una grande mostra intitolata “La metamorfosi della figura”. L’evoluzione e la sintesi di un pensiero creativo

Per lui non esisteva “l’arte primitiva”, ogni forma artistica l’affascinava, ogni strada percorsa diventava infinita con sentieri aperti verso nuovi mondi, Pablo Picasso (1881-1973) non ha mai visto un “prima” e un “dopo” nell’arte, per lui non c’era un’arte “diversa”. I

l genio spagnolo era sicuro che “tutto” fosse senza tempo. «Non c’è né passato né futuro nell’arte» amava sottolineare «Se un’opera d’arte non può vivere sempre nel presente, non ha significato».

Al Mudec di Milano una grande mostra chiude le celebrazioni del 50° anniversario della sua morte: “Picasso. La metamorfosi della figura” a cura di Malén Gual e Ricardo Ostalé; prodotta da 24Ore Cultura che pubblica anche il catalogo, in collaborazione con Institutional Partner della mostra e che vede il patrocinio dell’Ambasciata di Spagna in Italia e dell’Istituto Cervantes di Milano (fino al 30 giugno 2024).

Totale libertà

Esposte oltre 40 opere del maestro spagnolo, tra dipinti e sculture, di grande importanza i 26 disegni e bozzetti di studi preparatori tratti dal preziosissimo “Quaderno n. 7” concesso per l’occasione dalla Fondazione Pablo Ruiz Picasso - Museo Casa Natal di Malaga. Nel corso della sua vita, infatti, Picasso riempì un numero stupefacenti di quaderni da disegno con i suoi schizzi e appunti, ne sono documentati almeno 189. Nella sua totale libertà Picasso provò sempre una notevole considerazione delle culture di altri continenti, non fu mai autoreferenziale con l’Occidente e, forse più di altri artisti a lui coevi, seppe comprenderle e reinventarle creando un nuovo percorso di esplorazione all’arte universale.

La mostra suggerisce al pubblico di leggere l’immensa produzione di Picasso – dalle opere giovanili fino alle più tarde - alla luce della sua attenzione per le fonti artistiche “primigenie”, per l’“arte primitiva”, e racconta questa costante rielaborazione intellettuale e l’eredità artistica della visione di Picasso attraverso un grande progetto espositivo ideato proprio per il Museo delle Culture di Milano.

Picasso coglie l’essenza e il significato di altre fonti artistiche, le elabora nella sua produzione per tutta la vita, dal 1906 – anno fondamentale per la sua carriera artistica – fino agli ultimi lavori degli anni Sessanta. Col ritorno al “primitivismo”, intorno al 1925, l’artista trae gli strumenti del linguaggio plastico da esempi africani, ma anche da esempi neolitici e proto-iberici, della Spagna preromana, prende spunto dall’arte oceanica, dall’antica arte egizia e da quella della Grecia classica come per i vasi a figure nere.

Nel suo lavoro la “metamorfosi delle figure” che spesso hanno una forte connotazione erotica, e che governeranno l’evoluzione della sua pittura e della sua scultura, soprattutto nei momenti di crisi personale o sociale. Esposta anche la “Femme nue” del Museo del Novecento di Milano, meraviglioso dipinto che fu fondamentale preludio al capolavoro picassiano “Les Demoiselles d’Avignon”, in dialogo con dipinti di maschere.

Passato e contemporaneo

La mostra intreccia dal più remoto passato al contemporaneo, la selezione della produzione del maestro spagnolo presente si confronta con una selezione di fonti antiche e reperti archeologici ed etnografici. Il percorso espositivo si apre con una corpus di opere realizzate da Picasso nel 1906 sotto l’influenza dell’arte dell’antico Egitto e delle sculture iberiche, insieme a idoli iberici da lui collezionati, fra cui una scultura “Hemba”; la sezione è arricchita da fotografie di opere collezionate da Picasso.

È proprio nel 1906 che Picasso scopre l’arte di altre culture, come quella egizia, iberica e l’arte tribale, chiamata in quel periodo “arte nera”; la mostra prosegue con i 26 disegni per “Les demoiselles d’Avignon”. Picasso racconta «Quando sono andato per la prima volta con Derain al museo Trocadero, un odore di muffa mi ha preso alla gola. Ero così depresso che avrei voluto andarmene subito. Ma mi sono forzato a restare. E allora ho capito che questo era il significato stesso della pittura. Non è un processo estetico; è una forma di magia che si interpone tra l’universo ostile e noi, un modo di catturare il potere, imponendo una forma alle nostre paure come ai nostri desideri. Il giorno in cui ho capito questo, ho saputo di aver trovato la mia strada».

È il 1906 quando l’artista rivela una geometrizzazione delle forme, chiave dell’imminente Cubismo.

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