Tanti cari auguri Domenica Sportiva. Sono 70 anni di gol

La ricorrenza Nata (con Enzo Tortora) nel 1953 è la trasmissione televisiva più antica della Rai. Il direttore di RaiSport Volpi: «Bisogna amarla»

Funzionava più o meno così: alle elementari, la deroga familiare sull’orario in cui andare a letto era segnata da Carosello (situation comedy pubblicitarie, dopo i tg); ai tempi delle scuole medie, invece, dalla Domenica Sportiva. Il giorno dopo potevi avere l’interrogazione più difficile e decisiva del quadrimestre, ma la DS vinceva sempre. Un condono trasversale e universale. Ci arrivavi dopo aver gustato l’aperitivo di 90° Minuto, e pi trangugiato il toast con spremuta di Domenica Sprint. Ma era come aver visto un “qualcosa” di sfuggita, dalla terza fila, impallato, furtivo, spostando la testa freneticamente a destra e a sinistra per togliersi dalla visuale quelle davanti a te.

La Domenica Sportiva, invece, era la cena stellata, che ti serviva il calcio con il cameriere in livrea e il tovagliolo steso sul braccio mentre ti allungava una Coppa di champagne; un balconcino reale da cui godersi lo spettacolo con tanto di divanetto in velluto. Perché le trasmissioni precedenti avevano fatto frettoloso racconto di gol, parate, occasioni mancate. Insomma, “Fredda cronaca” (con la o chiusa) come diceva diceva l’Albanese versione “Frengo e stop”, bizzarro inviato da Foggia.

Romanzo

La Domenica Sportiva, invece, trasformava ogni partita in un romanzo, con servizi video che erano opere d’arte, dove l’ingresso in campo era il rumore dei tacchetti rubato dalle telecamere nel tunnel, l’attesa del match era una frase carpita al volo al giocatore prima del fischio d’inizio, le azioni una rivisitazione al ralenty con inquadrature cinematografiche dal basso di ciò che non avevi capito dall’angolazione dall’alto, il gonfiarsi della rete una scenografia da cavalcata delle valchirie; dove i gol erano l’espressione stralunata del giocatore che arrivava a tiro di cameramen con gli occhi da matto, e un gol mancato la delusione di una faccia chinata tra mani, o il giocatore che finiva, lui, dentro la porta aggrappandosi pietosamente o rabbiosamente alla rete inviolata. E poi frasi, dichiarazioni, presidenti presi a tradimento, e arguti racconti di geni del giornalismo: Beppe Viola fu indiscutibilmente il Maradona del microfono.

La Domenica Sportiva non era una trasmissione di sport, ma di cultura travestita da calcio, ed è forse per questo che i genitori chiudevano un occhio sull’orario della buonanotte. Che poi oggi, a 13 anni si ammazzano già da anni a Fortnite, sai che gli frega del gol al rallentatore.

Eravamo diversi, noi. Ma era, anche, diversa la Domenica Sportiva. Una riflessione che nasconde già una notizia: significa che la DS è ancora viva. Dopo 70 anni. Quanto uguale ad allora? Domanda che si porta dietro un sacco di retorica, un sacco di risposte inutili, tipo “le interviste impossibili…” di gialappiana memoria. Il mondo è cambiato, il calcio è cambiato, il pubblico è cambiato, i pruriti sono cambiati: perché mai la DS dovrebbe essere uguale ad allora? E siccome noi non siamo nessuno per parlarne, abbiamo deciso di farci aiutare da un personaggio molto particolare, oseremmo dire centrale. Iacopo Volpi, direttore attuale di RaiSport, innamorato (a prescindere) della Domenica Sportiva, soprattutto l’uomo che (assunta la carica la scorsa estate) si è preso a briga di riannodare i fili con il passato. Di restituire alla trasmissione almeno le sembianze vaghe di quello che fu, dopo che, nella stagione precedente, l’allora direttore Alessandra De Stefano ne aveva mandato in scena la versione più lontana dai tempi eroici che si potesse immaginare. La De Stefano è stata un fenomeno come giornalista di ciclismo e come conduttrice del Processo alla tappa al Giro d’Italia. Ma da direttore ha commesso un errore: pensare che il calcio in Italia fosse uno sport, declinato con tattiche, fredda cronaca, analisi. Strano, perché lei arrivava dall’altro sport che non è uno sport (il ciclismo appunto), ma un romanzo, una metafora della vita. Chissà, forse lo ha fatto proprio per quello, per conservare la primogenitura romanzesca alle vicende del pedale.

Modelli

Comunque il tavolo con Alberto Rimedio, ghiacciolo Marchisio, database Adani e professoressa Capizzi era quanto di più lontano ci sia mai stato a quell’ora della domenica sera, dal mondo dei Tortora, dei Pigna, dei Frajese dei De Zan, dei Ciotti, dei Viola, dei Brera, dei Bartoletti, dei Sassi, dei Vitaletti… Sarà sembrata ai tredicenni di oggi (ammesso che la guardino) tremendamente simile alla loro classe di scuola che li attendeva il giorno dopo. Così Iacopo Volpi, che peraltro la Ds l’aveva condotta con classe e signorilità in tre fasi, il 95-96, il 2006-07 e dal 2016 al 2019, cosa ha fatto? Ha tolto dalla conduzione Rimedio («Condurre non è il suo ruolo: ottimo come commentatore»), ha inserito due o tre sorrisi come ingrediente dolcificante (la conduttrice Rolandi, Panatta e Pecci), ha chiuso il database di Adani, fornendogli una nuova chiave scenica (ironia e arguzia) e ha riportato la trasmissione, per quanto possibile sulla strada originale. Possibile?

«Possibile. Anche se dobbiamo fare i conti con i tempi che sono cambiati. Però posso fare una premessa? Per fare la Domenica Sportiva devi amarla, amare lei a la sua storia. Allora sì, la puoi interpretare». Si dice che oggi alle 22.30 gli spettatori abbiano visto ormai già tutti i gol da ore. Dunque inutile farli rivedere. Lo scorso anno addirittura le immagini arrivavano spezzettate, a volte senza neppure far vedere tutti i gol. Un coitus interruptus. «Balle. Io non credo che la gente a quell’ora abbia visto già tutti i gol. Credo che i possessori di piattaforma a pagamento non siano tanti, rispetto alla totalità degli appassionati, e credo che dopo una gita in famiglia o altre distrazioni, la gente i gol la sera se li veda ancora volentieri. Piuttosto la difficoltà è data dallo spezzatino: io non posso fare un servizio di 4’ su una partita giocata il venerdì. Sarei un pazzo. Ci vuole una via di mezzo».

Tutti

Ok, ma allora le partite erano un romanzo. Oggi, a volte, si mostrano solo i gol: e nel calcio mostrare i gol non significa raccontare la partita. Persino le parate hanno cancellato dal racconto: «Noi siamo tornati a raccontare le partite. E tutte, perché la DS è di tutti, non solo dei tifosi degli squadroni. Poi, certo: una volta la Rai era padrona assoluta della scena, aveva il cameramen intrufolato dappertutto, io stesso mi ero preso le secchiate d’acqua negli spogliatoi alle feste scudetto. Il racconto era bello e unico perché personale, esclusivo. Oggi è tutto troppo vivisezionato per dare qualcosa di inedito. Però si può ovviare». Tipo? «Alessandra D’Angiò, la giornalista di Como nello staff con me, oggi inviata sulla Juve, ha dato una lezione: allo scudetto della Juve, era entrata nel profilo instagram di Pjanic e tramite quello si era vista la festa nello spogliatoio. Cambiano i mezzi ma non la voglia di cercare qualcosa di speciale».

I modelli di Volpi? «Galeazzi e Petrucci, peraltro in qualche modo l’opposto uno dell’altro, mi hanno insegnato il lavoro. Entrai in Rai nell’80, fui assunto nell’86. Erano i tempi in cui finita la partita correvi a montare nella sede più vicina. Oggi hai il camion-regia sotto lo stadio. Ho visto all’opera dei fenomeni, da spettatore o da addetto ai lavori. La classe di Pigna, il genio di Beppe Viola e forse il più geniale di tutti: Sandro Ciotti. Si scriveva tutto a mano, era solo un modo per ricordare tutto. Andava in scena senza portarsi nulla, tutto a braccio. Impressionante».

La modernità ha portato comici e “bellone” anche alla DS. Profanazione? «Mi piaceva Gnocchi, ma il mio preferito era Teocoli. Al suo fianco ho visto cosa vuol dire improvvisare. Sono d’accordo sulla volontà di portare della leggerezza, ma ci deve essere della sostanza. Gnocchi e Teocoli erano grandi esperti. Collovati fa un po’ l’attore comico, ma è preparatissimo, vede decine e decine di partite. Adani da quando è più scanzonato ci ha guadagnato, ma è sempre un computer».

Var

Il Var ha ammazzato la moviola? «Al contrario, si discute ancora di più. Anche perché nessuno capisce perché interviene o no e le discussioni aumentano invece che diminuire». Avete persino recuperato la vecchia sigla del 1979… «Già, in realtà è stato un rimedio al fatto che per al nuova sigla i tempi stavano andando lunghi, ma sono contento di questa scelta. È un motivo che per qualcuno ha un significato». La DS sopravviverà al cambio dei tempi? «Finché ci sarà qualcuno che la ama come la amo io, sicuro. Poi, però, non garantisco»…

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