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Domenica 11 Maggio 2025
Ugo Guarino, un’arte che va dritta al punto
Libri Nicola Lupieri firma la prima monografia completa del celebre disegnatore, scultore e attivista, tradotta dalla comasca Alexandra Cavenago
Ugo Guarino (1927-2016) è stato un artista totale, capace di spaziare dalla caricatura alla cibernetica mantenendo sempre un segno ben riconoscibile.
Sfogliando le pagine del volume che gli ha dedicato Nicola Lupieri, architetto, storico dell’arte e docente – con traduzione in inglese a cura della comasca Alexandra Cavenago – viene da chiedersi perché, a fronte di una personalità così poliedrica, capace di fulminanti anticipazioni, come quella di travasare il mondo cyber nell’arte, si sia dovuto attendere tanto a lungo per una monografia.
La cronaca fatta disegno
“Ugo Guarino – Architetto delle idee” ha il merito, anzitutto, di collocare l’ultima tessera del puzzle di una vita a suo modo straordinaria, che ha visto Guarino fino all’ultimo attivo al “Corriere della Sera” come illustratore delle “Stanze” di Montanelli prima e nella rubrica delle Lettere tenuta da Paolo Mieli. Gli inizi a Trieste, la sua città, come giovanissimo vignettista de “La Cittadella”. Si impone, da subito, per il tratto in bianco e nero capace di andare dritto al punto, e oltre, in vignette che sono, di fatto, fulminanti note di costume. Come non pensare, grazie alla puntuale analisi di Lupieri, a Saul Steinberg di “New Yorker”, per il quale il disegno era «un modo di ragionare su carta»? Quando nel 1952 Guarino si presenta al “Corriere” con sottobraccio la cartella dei suoi disegni s’imbatte in Dino Buzzati, che ne coglie subito il genio artistico, portandoselo a “La Domenica del Corriere” e presentando la sua prima personale, a Milano. Memorabile la copertina di “Cuore” di De Amicis nella sua rilettura: un cuore infilzato da una forchetta. Però Guarino non si sente arrivato.
Dagli Usa a Basaglia
C’è in lui l’inquietudine della libertà, che lo proietta negli Stati Uniti, con borsa di studio per artisti ma, per campare, lavora anche all’Ansa scrivendo d’arte. Il rientro in Italia lo porta nei cantieri navali di Trieste, come operaio. Anche Guarino ha il suo ‘68. Quell’anno inizia a collaborare con le Officine Meccaniche F.lli Tebaldi di Monza, dove subisce la fascinazione di un proto-computer e dà vita a opere scultoree sul tema uomo-macchina, con la preziosa collaborazione di alcuni operai. È pronto, in questa ricerca antropologica, ad un nuovo approdo, quello alla riforma della psichiatria operata da Franco Basaglia nei primi anni ‘70, a Trieste. È, per Guarino, un ritorno a casa, nel senso più intimo, perché il manicomio aveva accolto sua madre per anni, quando i malati psichici venivano bollati né più né meno come “matti”. La collaborazione con Psichiatria Democratica lo porta ad ideare progetti artistici che coinvolgono gli ospiti della struttura, nel motto “La libertà è terapeutica”. Firma, per Feltrinelli, “Zitti e buoni” (1979) una raccolta di disegni dedicati alle “tecniche di controllo” dentro e fuori dai manicomi, con introduzione appassionata di Franca Ongaro Basaglia.
Negli anni Ottanta il ritorno alla “famiglia” del “Corriere”, quasi fino alla morte. I lettori gli sono debitori dell’immaginario di tanti inserti e dossier speciali, dalle pagine scientifiche a quelle dell’università. Vuole la leggenda che Indro Montanelli non gradisse avere un’area grafica nella sua rubrica. E che, prima di comprendere il valore di Guarino, si sia dovuto arrendere ai giornalisti, i quali gli spiegarono come Guarino fosse parte del giornale. Praticamente la redazione era diventata la sua casa.
«Una persona immateriale»
Tanto appare densa di eventi la biografia di questo personaggio (sua moglie, per inciso, era Barbara Shawcroft, fiber artista ospite di Miniartextil a Como), esaminata da Lupieri con vastità di rimandi, tanto Guarino sembra sfuggire alla ribalta.
Poche foto lo ritraggono. Una delle più celebri lo immortala come uno dei suoi Explorer con casco metallico in testa. Perché? «Era una persona immateriale, senza corpo, senza contratto, senza stipendio. Ha sempre anteposto il suo messaggio alla sua persona - spiega a La Provincia Nicola Lupieri – Guarino si riconosce dalle sue opere, specialmente dagli “Escarpit” usciti sul “Corriere”, a lungo pubblicati anche in maniera postuma».
Vicino alla Gen Z
Geniale, tanto futuribile quanto uomo del Rinascimento per la varietà multiforme del proprio ingegno, “polutropos” avrebbe forse detto Omero, Guarino – in tempi di Nft e cyber-art – parla una lingua contemporanea in sintonia con la Gen Z piuttosto che con i suoi tempi.
«C’è un elemento assoluto di preveggenza che riguarda le generazioni più giovani. Quando inizia a lavorare dalla metà degli anni Sessanta, Guarino si pone un quesito fondamentale, si chiede quanto l’evoluzione di questo modo di lavorare con le macchine avrebbe influito anche sotto aspetto di relazioni sociali. La sua capacità di analisi su futuro a lui prossimo, ma distante, capace di sviluppare quello che oggi sta accadendo a distanza di 60 anni» fa notare Lupieri. L’autore aveva cinque anni quando incontrò per la prima volta Guarino («fu ospitato a Monza dalla mia famiglia per un decennio») .
Un “architetto di idee”, dunque, che andava ben al di là persino del disegno e dell’arte, ma incredibilmente riposto negli scaffali, dopo la mostra al Museo Revoltella e l’uscita di “Alfabeto essenziale” (Corraini) nel 2015. «Guarino era istintivamente saggio – riconosce la professoressa Alexandra Cavenago, che ha tradotto in scioltezza il non facile testo di Lupieri . Il suo lavoro si caratterizza per una tagliente ironia che gli permetteva di andare oltre l’ovvio». La monografia sarà presentata il 19 maggio alla Fiera del Libro di Torino.
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