«Io A spasso per Berlino
con Ingeborg Bachmann»

La scrittrice e filosofa Ilaria Gaspari ha costruito una guida letteraria della città tedesca ispirandosi alla poetessa «Ho subito pensato a lei, ma solo in seguito ho scoperto l’importanza che quelle strade hanno avuto nella sua vita»

“A Berlino con Ingeborg Bachmann” è un «libro fantasma»: a definirlo così è la sua stessa autrice, Ilaria Gaspari, filosofa e scrittrice. Il libro, che fa parte di una collana edita da Giulio Perrone, è una guida letteraria alla città di Berlino che, inizialmente, sarebbe dovuta essere pubblicata con il titolo “A Berlino con filosofia” e che nelle ricerche online compare ancora con questo titolo.

«Mi piace questa discrepanza tra come il libro appare online e come poi è quando le persone lo hanno tra le mani: è, in effetti, un libro che devi trovare così, quasi per caso» racconta Gaspari in un’intervista realizzata in diretta sul canale Instagram del blog Alma Poesia.

Tra mistero e poesia, Gaspari ripercorre le tracce di Ingeborg Bachmann, in un libro che diventa guida letteraria e in un podcast che si fa testimonianza della sua vita incredibile.

«Quando mi hanno chiesto di fare una guida letteraria su Berlino ho pensato subito a lei, perché sapevo che ci aveva vissuto per un periodo anche se non sapevo ancora quanto fosse stato importante. Poi ho capito che questa città ha fatto da cerniera nella sua vita. Ho scritto il libro nell’ultimo periodo della pandemia, quando non era facile viaggiare e sono arrivata nella città per una breve esplorazione dopo una profonda lettura dei suoi testi. Una lettura intensa, durante la quale mi sembrava di vivere con questa figura che nel libro chiamo “il mio fantasma”. All’inizio era un espediente narrativo, poi è diventata una cosa vera».

Com’è possibile?

Spesso capita che a furia di immaginarmi quello che mi invento, quello che scrivo per me diventa vero. Poi io come filosofa esploro l’ambito della percezione e, passando molto tempo con le parole della Bachmann, con le sue fotografie, è successo che quando sono andata fisicamente a Berlino l’idea del fantasma era ormai presente, tangibile. Ho esplorato la città sulle tracce di Ingeborg, usando come guida “Luogo eventuale”, il discorso che ha pronunciato a Berlino, quando ha ritirato il premio Buchner. Nel discorso si immaginava la città trasfigurata come un paziente con una lunga cicatrice, perché era appena stato costruito il muro. Così, seguendo quelle parole, insieme alla mia amica Emanuela, che vive lì, abbiamo ripercorso i suoi passi in città. L’ultima tappa del nostro viaggio è stata la casa dove abitò più a lungo e, quando finalmente l’abbiamo trovata, la mia amica mi ha detto: «Ho la sensazione che non siamo in due, ma in tre a fare questa passeggiata». Anche per lei il fantasma era diventato vero.

Di Ingeborg Bachmann colpisce la morte: Roma, 47 anni, stava fumando una sigaretta. Si è addormentata e quella sigaretta ha bruciato la vestaglia che indossava, poi lei, che forse non se ne rese nemmeno conto per via dei barbiturici. È l’immagine con cui apre il podcast “Bachmann” che ha scritto in occasione dei cinquant’anni dalla sua morte e che è stato prodotto da Emons Record, con il sostegno del Forum austriaco di cultura di Roma e del Goethe-Institut.

Quando ho riletto le puntate del podcast è stato molto commovente quel racconto della sua morte. Ingeborg muore a Roma, città cui ha dedicato molte poesie e anche un reportage di quello che vedeva durante le sue passeggiate, “Quel che ho visto e udito a Roma”. Per il podcast ho lavorato anche con gli audiovisivi: con il Goethe-Institut abbiamo riesumato dagli archivi di una televisione austriaca un’intervista-documentario realizzata nell’ultima estate di Bachmann. L’ho vista muoversi dentro Roma ed è stato emozionante. Poi ho parlato con persone che l’hanno conosciuta… l’intervista con suo fratello è stata intima e vera e ha fatto da conclusione al lungo percorso con “il mio fantasma”. Ora sento di avere un legame particolare con lei. Ma so che è così per molte persone che la leggono e la amano: si crea una prossimità incredibile.

Ma quindi chi era Ingeborg Bachmann?

Una persona fascinosa, senza dubbio, una scrittrice amata, tanto che veniva persino fermata per strada dai suoi lettori. Suo fratello, che le è sempre somigliato, mi ha raccontato di essere stato fermato a sua volta perché scambiato per lei. È stata però anche una donna sola, sebbene avesse tanti amici: la sua morte è stata terribile anche perché solitaria. Era una persona destinata a fare una certa cosa, cioè scrivere. E scrivere ti spinge quasi ai confini di te, perché la tua solitudine deve riuscire a parlare ad altri. Io in questo mi rispecchio molto.

Come l’ha incontrata?

Dapprima come amante di Celan, tramite il loro bellissimo epistolario che parla di una vicinanza poetica incredibile tra i due. Mi aveva poi colpito la fatalità assurda della sua morte, però all’inizio di lei avevo letto poco. Mi sono riavvicinata nel periodo in cui mi hanno chiesto di fare il libro su Berlino. Avevo letto “Il trentesimo anno”, convinta che fosse un libro sul compiere trent’anni (mi sentivo coinvolta, perché ero trentenne) e che invece è una raccolta di racconti in cui voci disincarnate si sovrappongono a formare racconti di una bellezza estrema sulla precarietà del rimanere immobili. Lei riesce a creare una sorta di bolla: tutto resta sospeso nella sua scrittura e la storia entra da tutte le parti.

Ora che le ha dato corpo e voce, come si sente nei suoi confronti?

Fa parte del mio rapporto con la letteratura: da quando ero molto piccola avevo questa sensazione che il mondo della letteratura avesse una consistenza reale, che tutto quello che è fatto di carta e parole fosse molto reale, altrettanto reale quanto lo è la vita. Il fatto che autrici e autori siano vivi o morti è sempre stato un dettaglio trascurabile per me, perché le storie superano il tempo. È uno dei motivi per cui amo così tanto la letteratura ed è l’antidoto alla cosa che più di ogni altra ci spaventa: la morte. Quindi per me è stato naturale trattare Ingeborg Bachmann come se fosse qui, il mio fantasma tabagista. Era molto reale questa sensazione quando scrivevo e in qualche modo lo è ancora. Abbiamo diverse cose in comune: anche alcuni aspetti un po’ nevrotici, alcune abitudini, un certo modo di stare nel mondo e una certa goffaggine nelle cose del mondo, che ho poi ritrovato tanto nei ricordi dei suoi amici e di suo fratello.

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