Una storia italiana: dentro i taccuini di Sergio Ferrero

Novità Viaggio nei diari inediti del grande scrittore. Racconti personali e riflessioni sulle vicende del Paese

«30 agosto. Svegliato, nella notte, da un temporale terribile. Avevo lasciato aperte le persiane. La stanza si illuminava e spegneva alla luce dei lampi. Dall’alto del cielo le saette cadevano in mare. Rumore continuo, intensissimo. Avevo un po’ di paura. E c’era chi pensava che avrei paura». Il 30 agosto è quello del 1946. In questo modo inizia questo mirabolante, tellurico, entusiasmante diario – per definirlo, provvisoriamente, così – che Sergio Ferrero tenne fino al 2008, anno della morte, dunque per oltre sessanta anni. “Divertimento per Saturno”, lasciato inedito, è ora ripubblicato in due magnifici volumi da Ronzani, a cura di Francesco Rognoni, anglista attivo a Pavia che assai spesso penetra, con acutezza, e scioltezza di stile, nei territori dell’italianistica.

Immersione

Si tratta di una piena immersione nei taccuini, nelle riflessioni, ma soprattutto nella vista stessa di uno dei maggiori scrittori italiani del Novecento, nato a Torino nel 1926 – e dunque, si approssima il suo centenario, che porterà sicuramente ad eventi e riflessioni – ma innamorato residente, nelle sue infinite peregrinazioni, della città di Como, che molto amava; spentosi a Lezzeno, amico fraterno di quella interessante figura che fu Basilio Luoni, che a Lezzeno si spense nel novembre 2024 e alla cui memoria Rognoni ha dedicato l’impresa. E che tra le altre cose pubblicò “Il salotto della fate”, due volumi di racconti fantastici francesi del Sei e Settecento, usciti nel 1995-6 da Rizzoli.

Impresa, la parola giusta, per questi taccuini che occupano mille pagine e raccontano mille avventure, dello spirito, del mondo, della letteratura, della vita. Mille pagine che però scorrono rapidamente, saltando, in temi, toni, modi, stili – proficuamente, tanto da farci rovesciare in positivo la locuzione stessa – “di palo in frasca”, e portandoci nel laboratorio di un autore appartato, inclassificabile, sfuggente, eppure amato dai critici e (talvolta, non sempre) dai lettori stessi, in una costellazione di osservatori e amici che comprende gran parte dell’intelligenza letteraria italiana del secondo Novecento, da Citati a Praz, a Cesare Garboli che lo definì “artigiano signorile”, “che si rifiuta di raccontare le sue storie…le intravedere…in tralice”, e intellettuali comaschi come Mario Schiani.

Tralice. Pronuncia piana, coll’accento sulla “i”: lo sguardo obliquo, di traverso, incerto, diffidente, ma alla fine, assai spesso, più illuminante di quello diretto. Ne era maestro, Ferrero. Alla fine non scrisse molto, otto romanzi, da quello d’esordio, “Gloria”, del 1966, all’ultimo, “Le farfalle di Voltaire”, poi raccolte di racconti, poesie, scritti vari, sempre nel segno di un’incessante attenzione, una costante veglia intellettuale.

Grandezza

Rognoni ci indica in questi due volumi che davvero celebrano la grandezza di un personaggio sia italiano, sia insubrico (non solo Como e Lezzeno, anche la predilezione per il lago d’Orta, ove a lungo visse), una bibliografia fitta, sfuggente alla fine come le trame dei suoi romanzi, piena di allegri paradossi.

Ad esempio, senza avere la patente, Ferrero collaborò per anni a “Quattroruote”, senza essere ricco e/o potente coltivò la sincera amicizia di un Alberto Falck, il quale, benché più giovane di Ferrero, si spense qualche anno prima di lui, in qualche modo sancendo la fine di un’epoca, anche industriale, anche sociale, dell’Italia novecentesca. Era di Mandello. Tutte storie lariane. O quasi.

Ordine casuale

Il miglior modo per affrontare mille pagine e mille eventi, nomi, personaggi, non è forse quello sistematico, dall’inizio alla fine, ma quello casuale, aprire una pagina e trovarvi, magari, riflessioni profondissime sull’infanzia, o gustosi aneddoti delle gite con Praz, o misteriose, ironiche affermazioni, che re-inviano a chissà quali meandri della sua vivacissima fantasia. Un esempio: nel 1958 scrive: “A Sabbioneta sanno che i gobbi sono di continuo minacciati da un grave pericolo: che le due gobbe, sul petto e sulla schiena, improvvisamente si stringano e comprimano loro il cuore”. Nel 1993 invece: “Nell’uliveto, per tutto il giorno, le cicale tessono la tela dell’estate sui loro invisibili telai”. Poco prima aveva scritto, quando l’ombra della morte ancora non era vicina a quell’uomo di due metri che in gioventù lavorava in librerie senza aver bisogno di scale per raggiungere gli scaffali più alti: “Le cose che rimpiangerò morendo: gli amici, i libri, i pomodori, il basilico, il rosmarino, la menta, l’aglio, il pane, il profumo dei gelsomini, i cani, i gatti, le pesche a pasta bianca, l’olio, il tè, il riso”. L’olio, il basilico: anche in Liguria Ferrero aveva vissuto a lungo, imparando a conoscerne molte peculiarità, molte idiosincrasie dei suoi abitanti.

Ma è la figura del “telaio” quella migliore per accostarsi a queste pagine in eruzione continua. Un telaio su cui comporre poi le trame dei romanzi, spesso rarefatte, e, anche, le trame dei ricordi, in una vita di singolare intensità, anche emotiva. Il filo, anzi, i “fili” del pensiero, metafora pregnante, su cui scrisse un bel libro presso il Mulino Francesca Rigotti nel 2002.

Il tutto con un’inesausta volontà, e voluttà, nel bere quanto più possibile dal calice della vita. Nel 1996 ad esempio scrive: “Puerile sgomento per i minuti che cinque, dieci per volta, divorano un tempo che non mi sarà mai più restituito e si fa, davanti a me, sempre più breve.” Ma non è solo malinconia ed elegia, questo lunghissimo diario. Vi sono spesso battute esilaranti: “A vedere la faccia della gente c’è da stare in pena per gli animali che ne dipendono”, annota nel 1978.

“Journals intimes”

Quest’opera, a ragione, non solo si può inserire nel canone eletto della diaristica di lunga durata, della scrittura di “journals intimes” – Rognoni ne elenca molti, personalmente, tra quelli ancora inediti, mi vengono in mente, anche per affinità di lunghezza, quelli di Jules Champfleury (1821-1889), scrittore non troppo noto dell’Ottocento francese, custoditi in manoscritto presso la Vanderbilt University in Tennessee, in contatto con figure quali i Goncourt, Eugene Sue, Baudelaire, Zola, Stendhal, Balzac tra gli altri – ma è essa stessa di una portata tale da immettere, definitivamente, Ferrero stesso nel canone più puro della letteratura italiana novecentesca.

Resta aperta la questione se ciò gli avrebbe fatto davvero piacere. In ogni caso, il telaio letterario qui esposto offre una quantità di materiali fondamentali per la ricostruzione delle trame dei romanzi, ma anche degli scritti d’occasione di Ferrero, la sua attenzione verso il dettaglio, e anche quella verso i panorami generali, fosse pure “l’Italia vista dall’alto” ovvero il fortunato libro del 1974 “Meraviglie d’Italia dal cielo”, con foto degli Ostuni, molto innovative per l’epoca. Un libro che si trova ad infimo prezzo nei mercatini, online, e che vale la pena di essere di nuovo letto, se non altro per le acute osservazioni di Ferrero stesso. Insieme, senz’altro, ai suoi romanzi, che andrebbero tutti ristampati.

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