Attenti al lupo? No: attenti all’uomo

Animali e uomini Predatore opportunista, schivo, notturno: la vera storia del ritorno sui nostri monti di un osservato speciale

Elusivo, opportunista, leggendario, prezioso predatore per contenere le popolazioni di ungulati, il lupo è “osservato speciale” da quando ha cominciato a ripopolare anche le Alpi. Paolo Vimercati e pochi amici sono sulle sue tracce «per conoscerlo meglio, per sapere quanti sono davvero i lupi in provincia di Como e dove, per indagare come si comporta in modo scientifico e obiettivo attraverso il nostro progetto Lario Wolf Project. Così possiamo fornire informazioni corrette su questa specie attraverso i nostri social, tutelarne la conservazione, migliorare il rapporto che sappiamo difficile con l’uomo e favorire una convivenza equilibrata che è assolutamente possibile».

Niente allarmismi quindi, piuttosto rispetto delle regole «il problema principale è quello del bestiame incustodito: è una pratica diffusa, ma illegale» osserva Vimercati, fotografo naturalista e guida ambientale Aigae.

Volontari allo stato puro, il piccolo gruppo di giovani appassionati al quale Paolo partecipa è ogni giorno più numeroso, altri si stanno via via aggiungendo. Trascorrono molte domeniche e qualche nottata a monitorare la presenza dei lupi: foto trappole, osservazione delle tracce e raccolta di segni della sua presenza hanno fatto costruire nel tempo una mappatura di come si muove il predatore in terra lariana e anche di come si comporta.

«Molti pensano che il lupo sia stato introdotto da altre zone. Non è così – spiega Vimercati – La sua espansione è avvenuta per dinamiche naturali. Negli ultimi 50 anni c’è stato un abbandono delle montagne e una migrazione umana verso la pianura che ha reso selvatiche ampie zone, vivibili per molti animali che sono prede per il lupo».

Per la verità cervi e soprattutto cinghiali sono aumentati a dismisura per via delle immissioni a scopo venatorio. La questione, che è anche economica, ci è evidentemente scappata di mano. Aumentato il cibo a disposizione, il lupo è tornato. Se le immissioni di selvaggina per la caccia non ci fossero state, i numeri di prede e predatori forse sarebbero più equilibrati, ma tant’è. «Da quasi quattro anni ci siamo concentrati sul lupo perché nessuno controlla la sua presenza con continuità – continua Paolo Vimercati – quando usciamo seguiamo delle procedure prestabilite. Ci siamo divisi dei “transetti”, significa che ognuno di noi monitora una zona specifica dove rileviamo i segni della presenza attraverso escrementi che, nel caso del lupo, forniscono tantissime informazioni. In alta montagna seguiamo le tracce sulla neve che ci permettono di capire il numero delle famiglie di lupi e infine i resti delle predazioni da animali selvatici». Il passo successivo potrebbe essere quello di risalire al Dna per capire come si muove la popolazione.

«Infine posizioniamo delle foto trappole nei punti di passaggio che abbiamo individuato come i più utilizzati – aggiunge – In molto tempo e con tanta pazienza siamo arrivati a coprire un’area piuttosto estesa, ma ci possono volere anche mesi per un’immagine». Che quando arriva è un’emozione, come la cucciolata ripresa con la foto trappola l’estate scorsa. «Si gestisce tutto tramite un’applicazione sul cellulare e si riceve una notifica dell’avvistamento in tempo reale» racconta Vimercati. Però, nonostante i lunghi periodi trascorsi a posizionare le foto trappole e a raccogliere campioni in montagna, non ha mai incontrato il lupo lariano dal vivo. «Sono animali elusivi, sospettosi. Riescono a sentire l’odore del nostro passaggio anche dopo giorni. Si muovono quasi solo di notte e fanno di tutto per evitarci».

Il lupo ha paura di noi, e questa è cosa buona, ma anche noi abbiamo paura del lupo, una paura atavica e profondamente radicata nella cultura della pastorizia. «È un predatore opportunista, va dove il cibo è più facile e disponibile – prosegue – In Italia e anche nelle nostre zone c’è la consuetudine a lasciare il bestiame incustodito in aree remote, senza nessuna protezione né recinto. Una pratica relativamente recente e vietata, anche per l’impatto del pascolo in aree protette. Mentre esistono efficaci soluzioni di prevenzione: ricoveri notturni, recinzioni elettrificate e il cane da pastore».

Soluzioni di antica memoria che oggi godono di fondi pubblici messi a disposizione da Regione Lombardia. Come del resto accade anche con gli indennizzi di risarcimento per i capi predati. Nonostante questo, permane una forte resistenza culturale nelle piccole, micro imprese dei nostri territori, meno strutturate e quindi più esposte.

In questo contesto, il gruppo di volontari che segue le tracce dei nostri lupi preferisce operare con la sordina mediatica: le informazioni su Lario Wolf Project sono condivise solo attraverso i social di progetto.

«Temiamo che i dati, se divulgati, possano essere usati in senso contrario, non per la conservazione e per la prevenzione, ma magari per stimare piani di abbattimento» è la cautela espressa da Paolo.

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