
Diogene / Como città
Lunedì 14 Luglio 2025
«La nostra vita al buio in questa città ostile»
La storia Barriere architettoniche, divieti violati, menefreghismo: l’esperienza impossibile di una coppia di ipovedenti
Como
Nel cuore di Como, tra vie acciottolate, autobus silenziosi e marciapiedi ingombri, ci sono due voci che chiedono di essere ascoltate. Sono quelle di Domenico Cataldo, 51 anni, impiegato ipovedente, e di sua moglie Michela Marrasso, 39 anni, centralinista non vedente accompagnata dal suo fedele cane guida Fast. Una coppia che vive insieme in città da nove anni, e che ogni giorno si trova ad affrontare una sfida che va ben oltre la loro condizione visiva: quella dell’indifferenza.
«Viviamo uno stato di costante pericolo Colpa dell’inciviltà di chi ci circonda»
«Viviamo in una situazione di costante pericolo - racconta Domenico - Non a causa della disabilità in sé, ma per via dell’inciviltà e della superficialità di chi ci circonda». Il racconto è lucido e fermo, ma attraversato da una profonda amarezza: da tempo i due convivono con pericoli costanti e con la noncuranza di una città che, di fatto, li esclude. Camminare per Como si è trasformato quindi in un percorso a ostacoli: biciclette e monopattini sfrecciano silenziosi sui marciapiedi, spesso abbandonati in mezzo al passaggio; le auto parcheggiate sulle strisce pedonali impediscono l’attraversamento; i cani lasciati senza guinzaglio costituiscono un pericolo costante e molte persone camminano senza guardare, finendo per urtare chi non può vederle arrivare.
«Quando proviamo a farlo notare, riceviamo insulti o risposte arroganti. Pochissimi si scusano. È diventato frustrante, e addirittura pericoloso, vivere la nostra quotidianità». Con il passare del tempo tutto questo logora, spezza la fiducia e mina l’autonomia.
«Negli ultimi anni è peggiorato tutto - continua Michela - prima era molto più facile andare in giro, ora il menefreghismo delle persone ci espone a rischi continui». Complice forse anche la diffusione dei veicoli elettrici, silenziosi e difficili da percepire, la città è diventata un luogo più ostile. Anche prendere un autobus può trasformarsi in un terno al lotto. Solo una percentuale minima di bus è dotata di sintesi vocale, mentre tutte le altre linee sono prive di qualsiasi sistema di supporto per non vedenti.
«Senza un annuncio vocale, dobbiamo affidarci ai passanti per sapere quale autobus è in arrivo, o a qualcuno a bordo per capire dove scendere. Ma capita che non ci sia nessuno, o che non ci si possa fidare». Una soluzione già di per sé precaria alimentata, inoltre, dall’assenza e dall’inerzia delle istituzioni. «Insieme all’Uici (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti, ndr), abbiamo partecipato a riunioni con il Comune di Como, ma l’unica soluzione proposta dalla vicesindaca è quella di chiamare i vigili». Ma chiamarli, dicono, spesso non serve. «Non arrivano mai: ci dicono che hanno altre priorità. Nel frattempo, però, rischiamo di farci male. Se il problema è la carenza di personale, allora è il Comune che deve trovare una soluzione e la deve trovare adesso. Servono nuovi concorsi, controlli capillari e un sistema sanzionatorio efficace. Così com’è, tutto resta impunito e chiunque può continuare a mettere in atto atteggiamenti che al contrario dovrebbero essere scoraggiati». A peggiorare il quadro, la mancanza cronica di investimenti strutturali. «A Como mancano ancora i semafori sonori, solo da poco qualcuno sta iniziando a essere installato, e non esiste un Peba (Piano per l’eliminazione delle barriere architettoniche, ndr), che per legge dovrebbe esserci dal 1986». Il Comune di Como, infatti, non risulta averne ancora approvato uno aggiornato e operativo, rientrando quindi in quel preoccupante 60% di Comuni italiani che, stando ai dati Fish e Istat del 2024, ignorano sistematicamente l’obbligo di pianificazione per l’accessibilità. A rafforzare la sensazione di essere invisibili agli occhi della politica, l’episodio dello scorso anno: «Era stata proposta alla Giunta una mozione per mettere in sicurezza alcune zone critiche, tra cui quella del Bassone, ma è stata bocciata dai consiglieri comunali senza alcuna spiegazione - ricordano - L’ennesima conferma che la nostra condizione non è una priorità per il Comune». Anche i sopralluoghi promossi da gruppi di lavoro all’interno del Consiglio regionale per valutare le condizioni di accessibilità non hanno prodotto risultati concreti. «Non cambia mai nulla. Al massimo, peggiora».
E così vivere la città diventa ogni giorno più difficile: «Qualsiasi attività, sia essa lavorativa, associativa o anche solo ludica, richiede uno sforzo enorme, fisico e mentale, per affrontare i rischi. Viviamo nella perenne paura di farci male, non dormiamo e siamo costantemente in allerta. In questo modo ci viene continuamente negata la possibilità di vivere la nostra vita con la stessa libertà degli altri». Per Domenico e Michela, e per molti altri cittadini con disabilità visiva, il diritto ad essere tutelati resta una promessa vuota. Eppure, sottolineano, non vogliono arrendersi: «Vogliamo continuare a lottare per sentirci protagonisti del nostro destino, con le stesse possibilità di chi non ha una disabilità». E per farlo, chiedono ciò che dovrebbe essere scontato: una città accessibile, rispettosa, vivibile. Per tutti.
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