«La scrittura, una malattia che sa curare»

La storia Mauro Fogliaresi, vittima di un incidente, ritrova la forza di rimettersi in piedi grazie alle parole e alla poesia

«Quando le braccia si sono fatte pesanti e mi riusciva difficile persino fare il segno della croce, allora è cominciata la mia resurrezione». Parole che curano, emerse nel flusso di coscienza dopo una caduta. Parole che vanno protette. Nero su bianco raccontano il viaggio dentro noi, anche nei momenti più difficili e danno una forma, un senso al dolore. Si fanno humus fertile per essere “contadini di noi stessi” e aiutarci a rifiorire. «Di tutti gli incidenti che ho subito, altre fratture e inciampi neurologici, in me la più rara malattia rimane la poesia» .

“L’Angelo e la Cura. Breviario dalla clinica” di Mauro Fogliaresi è una raccolta di poesie, affiorate durante un periodo particolare vissuto dallo scrittore, in cui le parole hanno aperto e disegnato nuovi mondi, soprattutto interiori. Questi versi trasmettono la potenza di una caduta fisica che diventa introspezione, risalita e trampolino di lancio, alimentata da pensieri ed emozioni che tramite la scrittura fanno parte di un processo di autoguarigione profondo.

Echi terapeutici

Le parole di Fogliaresi sono terapeutiche. Il poeta, scrittore comasco, tra i fondatori del giornale “Oltre il Giardino” e dell’Università del Tempo Ritrovato, da mesi è costretto sulla sedia a rotelle. Lo scorso ottobre è caduto rompendosi il femore e fratturando la spalla. «Da questa frattura mi sta entrando pian piano una fede scomposta che solo un seme ateo poteva farmi sbocciare».

E da qui l’inizio della disabilità di Fogliaresi e del suo percorso di terapia: un’operazione, due mesi di riabilitazione, il ritorno a casa, il rientro in clinica, la nuova riabilitazione a Villa Beretta e adesso l’attesa per sottoporsi a un ulteriore intervento chirurgico. Intanto nell’immobilità del corpo Fogliaresi dice di aver sperimentato un nuovo e intimo movimento dell’animo. Scrive: “Un disabile infinito movimento, sono un eterno concepimento”. E poi: «Ogni disabilità è una danza di equilibri da trovare».

Nella clinica “astronave” gli incontri con il personale e in particolare con gli altri pazienti sono per lui indelebili, illuminazioni. “Tra grovigli di gambe, protesi, non protesi, carrozzine, ausili di ogni tipo, assenze tra mille assenze si fa viva una presenza: nonostante tutto, quanta voglia di vivere in queste persone sofferenti”.

«Più che di resurrezione - precisa Fogliaresi – vivo un passaggio, un attraversamento, un transito, un’epifania. Così la scrittura prende distanza anche dal politicamente corretto, da parole fredde come “resilienza”, prende distanza da una certa visione cattolica che si avvicina al pietismo, al conformismo, al moralismo e diventa molto più profonda, flusso di coscienza, entrando in contatto con il proprio inconscio».

Oggi vive ancora nel pieno la sua disabilità, ma la consapevolezza che ha maturato sgorga in parole e parole che si intrecciano in versi, racconti, scritti inarrestabili che si fatica ad arginare. Al loro passaggio lasciano un’energia archetipa, la definisce lui, che muove qualcosa anche in chi si è messo nel sentire. «Nel caso di periodi difficili impervi come questo che sto passando la scrittura diventa una riserva naturale. Fondamentale è la creatività, l’immaginazione che la muove. Mi sto avvicinando molto a un’idea di ispirazione tra inconscio, sogno, miraggio, desiderio, incanto e chimera. Anche nei periodi di forte immobilità, come nel mio caso dopo la caduta, sento un movimento che va ben oltre un lavoro letterario, un muoversi creativo molto naturale. Uno sta seduto, disabile, sulla poltrona nello stesso attimo i pianeti le stelle le galassie si muovono comunque in circolo, danzano armoniosamente come in “Odissea 2001 nello spazio” .In questo Danubio blu valzer dell’universo si avvicinano, si abbracciano, il microcosmo e il macrocosmo, la nebulosa di Orione e il soffione nella via del tram di Camnago».

Il libro rosso di Jung

L’introspezione è la chiave, il filo rosso di questa esperienza di vita. «Devo dire che il libro rosso di Jung mi ha molto aiutato e sedotto. Portavo con me già un humus profondo che nella sua leggerezza si manifestava con i cosiddetti “matti”, i bimbi delle elementari, in corsi di scrittura nelle varie comunità, nelle carceri, per ogni tipo di diversità. Io ho solo ascoltato, ascoltato in modo diverso e qui dovrei sottolineare quanto sia fondamentale il tempo d’ascolto. È vero ho scritto, ma soprattutto ascoltato. La scrittura ha un tempo suo che nel dolore si fa inchiostro d’ascolto. Hanno tolto le rotelline alla bicicletta, ho pedalato di mio. Da piccolo quando cadi ti dicono “come sei diventato alto, sei cresciuto”, in verità uno vuole rimanere bimbo nella sua postura di felicità e di scrittura. Questa caduta mi ha bloccato fisicamente, ma io non mi sono mai mosso dentro come ora».

Se come ha fermato su carta Fogliaresi “la vita è un inciampo, la curva all’ingiù di un sorriso” il tema della rielaborazione del dolore è essenziale. E ancora una volta in soccorso ci vengono le parole che curano. «Non mi interessa dover dimostrare nel dolore una capacità a essere retoricamente coraggiosi, ma sentirsi umilmente protagonisti della propria vita, vivendo un proprio agito, come dire, piuttosto, voglio “Essere contadino di me stesso”. Sembra che il profumo delle rose lo si misuri dalla profondità delle spine».

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