
Diogene / Olgiate e Bassa Comasca
Martedì 22 Luglio 2025
Le nostre carceri, cimitero dei vivi
Il convegno Sovraffollamento costante, suicidi e autolesionismo, carenza di personale, diritti negati
Como
«L’abitudine ci nasconde il vero aspetto delle cose». Può essere calata in più contesti questa riflessione del filosofo Montaigne. Ci abituiamo alle immagini di guerra, ci abituiamo alle notizie su abusi e corruzione, ci abituiamo anche a quelle che ormai da mesi, se non anni, ci giungono dal mondo della carcerazione. Sovraffollamento costante, suicidi e autolesionismo, carenza di personale, diritti negati. In questo momento negli istituti di pena italiani ci sono oltre 10mila detenuti in più rispetto alla capienza regolamentare, e sono oltre quaranta i suicidi dall’inizio dell’anno. “Il carcere fallito”, titolo della conferenza che si è tenuta al tribunale di Como, non è una provocazione ma un dato di realtà. Un titolo forte per sollevare il velo e guardare in faccia le cose. Per non cedere al benaltrismo e porre rimedio a un’emergenza drammatica.
Organizzata dalla Camera penale di Como e Lecco, con il presidente Davide Giudici e Sabrina De Caria delegata per il carcere, la conferenza è stata preceduta da una visita al Bassone e si è avvalsa delle preziose testimonianze di chi il mondo della detenzione lo conosce bene. Luigi Pagano, 40 anni di direzione di carceri alle spalle, già vice del Dipartimento di amministrazione penitenziaria; Sergio D’Elia e Marco Sorbara, rispettivamente segretario e consigliere dell’associazione Nessuno tocchi Caino. Marco Sorbara, ingiustamente condannato, è stato in carcere per poi essere totalmente scagionato in Cassazione. Relatori anche l’avvocato Valerio Murgano dell’Unione delle Camere penali italiane e l’architetto Cesare Burdese che ha rimarcato come il pensare lo spazio del carcere sia una pratica inesistente.
«È giusto continuare a visitare il carcere perché il carcere è diventato assurdo. E lo dico da “carceriere”» è stata la provocazione di Luigi Pagano. Nove persone in una cella da tre significa non trovare spazio nemmeno per stare in piedi. Mangiare insieme è impossibile, andare in bagno, dormire, intavolare una discussione è impossibile. «I miei quarant’anni di carcere mi dicono che nulla è cambiato – ha sottolineato con amarezza Pagano - sono entrato nel 1979 a Pianosa, ho girato diverse carceri sempre con il problema del sovraffollamento. Nel 1990 a San Vittore c’erano 2400 detenuti per 700 posti. Ricordo che venne in visita il prefetto di Milano e disse una frase che mi colpì: “A volte la realtà supera la fantasia”, al che replicai :“Non capisco perché debba usare la fantasia, San Vittore è al centro di Milano eppure è ignorato da tutti”».
«Il carcere assume il ruolo che in quel momento la società gli dà – è la conclusione di Pagano -. Il carcere è fallito e non poteva non fallire se pensiamo alla funzione risocializzante della pena. Oggi ha un ragione d’essere in un altro senso, basta guardare chi è recluso: persone che non possono ottenere pene alternative, detenuti a regime ordinario che per la maggior parte sono tossicodipendenti, persone in povertà, irregolari e malati psichici. Ecco allora che non si tratta di un carcere fallimentare, perché lo si vuole proprio in questa maniera, invece delle politiche sociali si utilizza la sanzione penale e il carcere certifica che i problemi non sono la povertà o la tossicodipendenza, il problema è il crimine. E quel timbro, quella vidimazione di criminalità seguirà sempre la persona reclusa». L’appello di Sergio D’Elia agli avvocati è “andate in carcere”: «Non solo nelle sale colloqui ma anche nei reparti, non è solo di conforto ai detenuti, il sentirsi guardati muta le condizioni di detenzione. E non dimentichiamo i “detenenti”: agenti, medici, operatori è una comunità che va ascoltata».
«Il carcere - conclude D’Elia - è ritornato alla sua etimologia: la parola viene dall’aramaico antico “carcar” che significa tumulare, sotterrare. Lo vediamo chiaramente. Il carcere è un cimitero di vivi».
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