Ludovica, storia di un ritorno alla vita dopo l’incontro con la droga

La storia Dall’eroina a San Patrignano: «Non sapevo più provare emozioni, oggi sono rinata. Anche grazie a mia figlia»

«Sono uscita da San Patrignano nel 2019. Nel 2021 è nata Aurora, l’amore della mia vita. Anche oggi, nei momenti più difficili, quando il pensiero della droga ti arriva lucido, dritto, forte per 30 secondi che sembrano infiniti, è lei che mi spinge subito a dire: “Non ti devi fare”. Quel pensiero ho capito che non se ne andrà mai del tutto. Bisogna imparare a conviverci. E gli affetti sono il deterrente più grande alla droga. Ora posso contare su una rete di amici veri che mi ripetono: “Prima di andarti a comprare una dose, passa da casa nostra. Non sei sola”».

Ludovica Valsesia lavora in un laboratorio di pasticceria e vive con sua figlia Aurora e il loro inseparabile cane. È finalmente serena. Ha 30 anni, nel tempo libero fa la volontaria all’Anglad Prealpina di Tradate, dove incontra i ragazzi che hanno scelto di entrare in comunità a San Patrignano. A San Patrignano Ludovica c’è stata 3 anni e 9 mesi. È lì che ha conosciuto due compagne di viaggio che sono diventate per sempre sue sorelle di vita e il padre di sua figlia. La droga nell’esistenza di Ludovica è arrivata prestissimo. A 14 anni erano le canne, a 16 la cocaina del sabato sera. «Non ero preoccupata e non avevo paura. La vedevo come una cosa che si fa in compagnia. Fino a quando poi queste sostanze hanno iniziato a non bastarmi più. La situazione a scuola è precipitata. Non mi sentivo bene nel mio corpo, mi odiavo. A 18 ho iniziato a cercare i tossici della mia zona da cui sapevo che avrei potuto procurami l’eroina da iniettarmi. Volevo annullarmi. Volevo morire».

Il primo ingresso

C’è stata una sera in cui Ludovica ha cercato volontariamente di uccidersi: «Ho preso delle pastiglie per dormire, tante pastiglie, e poi mi ci sono fatta sopra. Ero nella mia camera da letto, mi hanno trovata i miei genitori. Il giorno dopo mi sono svegliata in Psichiatria: non sapevo provare emozioni, non sapevo stare in mezzo alla gente, pensavo di non essere destinata a vivere e non riuscivo a reagire a nulla di quello che mi stava succedendo».

Nel 2014 c’è stato poi l’ingresso in una prima comunità: «Ne sono uscita peggio di prima. In comunità ho conosciuto nuove droghe. Sono subito tornata a farmi e per di più con delle sostanze di cui porto ancora le cicatrici su tutto il corpo. Ormai avevo perso il controllo. In casa rubavo di tutto, dai soldi all’oro di famiglia. Per comprami una dose arrivavo a spendere 50 euro al giorno. Una notte, dopo che i carabinieri mi avevano trovata in strada e riportata dai miei genitori, ho preso la televisione e l’ho caricata sull’automobile di mio padre e sono andata a cercare l’eroina, sperando di poter vendere quello che avevo con me. Ero sola, ero disperata, non mi restava nessun amico nemmeno tra i tossici. Ho pensato: o muoio o cambio vita. Quando sono tornata a casa nella mia stanza non c’era più niente: i miei l’avevano svuotata di ogni cosa e io non esistevo più».

È stato in quel momento, nel fondo più fondo, che Ludovica si è lasciata convincere a provare a disintossicarsi in una seconda comunità, San Patrignano, con cui i suoi genitori avevano preso già contatto da tempo. Ci sono voluti quattro mesi per essere pulita, quattro mesi di preparazione all’ingresso in struttura, vissuti con i volontari di Anglad.

«Quando ci sono arrivata a San Patrignano volevo immediatamente scappare ed è stato così per i primi due anni – racconta Ludovica – Mi hanno messa con altre ragazze in alcune casette. Il metodo era quello del contenimento, un sistema rigido, fatto di regole: mi sentivo soffocare. Ero stata sequestrata. Ogni giorno di quei primi due anni trascorsi lì pensavo che non ce l’avrei fatta e l’idea fissa era quella di trovare la droga per sballarmi. Ho potuto rivedere i miei genitori dopo un anno, prima mi era stato concesso solo di inviare loro delle lettere».

Prospettiva diversa

Il cambiamento in Ludovica è arrivato con le responsabilità che si è assunta all’interno della comunità: «Guardi da una nuova prospettiva quando tu diventi tutor di altre ragazze, le guidi nel loro percorso, fai rispettare le stesse regole che prima avresti solo voluto infrangere e ora invece condividi. A San Patrignano ho imparato a impegnarmi, ho conosciuto il valore di rispettare delle norme, di prendermi delle responsabilità e di parlare di me stessa. Prima di San Patrignano io non sapevo parlare di me stessa».

Una volta uscita la paura più grande per Ludovica era quella di trovarsi sola: «Ho voluto sfidarmi, camminavo per la città lungo le stesse strade e verso gli stessi posti di quando mi facevo, in cerca delle stesse persone per vedermi rispecchiata nei loro occhi. Mi sono trovata di fronte dei ragazzi che si drogavano con me, mi hanno fatto i complimenti per il mio percorso. Loro erano come li avevo lasciati quattro anni prima: ho provato un grande dolore perché non erano stati in grado di chiedere aiuto. Solo se chiedi aiuto hai una possibilità».

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