Nata a Mosca, salva profughe ucraine

La storia Il Natale di Nataliia: «Quest’anno non c’è alcuna voglia di festeggiare. L’unico desiderio? Ritrovare la pace»

«Lo spirito del Natale quest’anno è troppo lontano, quasi non esiste». A dirlo è una donna che, al contrario di quanto successo più di 2mila anni fa a Betlemme e che continua ad avvenire ogni giorno nel mondo, non ha lasciato solo chi aveva bisogno di rifugio. Sono parole pesanti quelle di Nataliia Bavikina, nata a Mosca, cresciuta in Ucraina e da 22 anni in Italia, Paese di cui è diventata cittadina. Nataliia, che ha accolto nella sua casa italiana due profughe ucraine, apre uno spiraglio.

Il rito ortodosso

«Il Natale, così come lo si immagina in occidente è lontanissimo dai pensieri ucraini. Nei Paesi dell’Est arriva prima il Capodanno – continua la donna - In Ucraina e Russia seguiamo il rito ortodosso, per cui siamo ancora un po’ lontani dalla frenesia degli ultimi giorni, ma è inutile far finta di nulla: quest’anno sarà durissimo trovare la voglia di far festa». La storia di Natalia l’avevamo raccontata a marzo, attraverso La Provincia all’inizio del conflitto; lei con padre russo e madre ucraina e con molti parenti e amici che ancora vivono nella terra di origine si era aperta, raccontando i primi giorni travagliati di questo conflitto, che ormai dura da più di dieci mesi.

«Non ci si può abituare a una cosa del genere, io stessa fino all’ultimo ero indecisa se dare seguito allo spirito di festa che comunque si respira in Italia: alla fine ho ceduto per i miei cari, ma sarà un Natale teso, non sereno che passerò solo con i miei figli e mio marito. La mia famiglia di origine è ancora lì, mia madre e mio fratello sono bloccati in Ucraina, mio padre con altri parenti in Russia». Non si può essere sereni. «Da quando è scoppiato il conflitto abbiamo tutti vissuto giorni da incubo, gli amici di una vita dovrebbero diventare per legge nemici. Ma chi lo decide? Le notizie che arrivavano sono davvero allarmanti: una popolazione contro l’altra, due popoli fraterni che ora si confrontano in una guerra senza motivo, che non si dovrebbero parlare più e confrontare solo con armi, bombe, violenze, fame, morte». Si dice che ci sia uno spiraglio di miglioramento, ma è ancora molto lontano.

«Soprattutto per la ricostruzione ci vorrà tantissimo tempo e tantissimi soldi. Dall’Italia ho cercato, insieme alle diverse associazioni che si sono attivate, di dare una mano, di raccogliere generi di prima necessità, vestiti, medicinali». Ma non solo. Natalia non si è fatta scrupoli ad aprire la propria casa alla storica amica Larissa e alla figlia 17enne Sofia, mentre il marito non ha potuto lasciare la patria. «Il nostro viaggio per uscire dall’Ucraina – racconta Larissa – è stato una scelta obbligata, fatta con la morte nel cuore. Siamo arrivati in Italia grazie all’ospitalità di Natalia, non avevamo nessun posto dove andare, io conoscevo pochissimo la lingua italiana e mia figlia ancora meno. Siamo partite con una grande paura, ho lasciato mio marito, i miei familiari, ma non avevamo scelta: i pericoli e i rischi per l’incolumità di mia figlia Sofia erano troppo alti. Ci siamo lasciati alle spalle tutta la nostra vita».

In Italia le due donne hanno trovato una casa e anche lavoro. «La fortuna è stata quella di andare in un luogo che già conoscevamo, ospiti in luoghi in cui eravamo già state e da persone che ci hanno accolto senza mai farci mancare nulla, soprattutto l’affetto. Abbiamo poi avuto l’opportunità di trovare un lavoro stagionale da luglio fino a settembre».

Questa è stata una risorsa fondamentale perché la burocrazia italiana non ha consentito di avere accesso a molti altri aiuti. Da poche settimane Larissa e Sofia sono riuscite ad avvicinarsi all’Ucraina. «Abbiamo trovato una sistemazione a Praga e stiamo cercando di costruire una nostra indipendenza. Diciamo comunque grazie all’Italia e alla nostra amica che ci ha accolto quando ne avevamo più bisogno. La scelta oggi è quella di stare più vicino all’Ucraina per aver la possibilità di andare a visitare mio marito e i nostri cari con più facilità. La Repubblica Ceca ha un’alta presenza di persone di lingua russofona e anche questo naturalmente è una facilitazione per noi».

Nel frattempo Nataliia racconta: «In Italia siamo tantissimi Ucraina, Russi, Bielorussi, Moldavi. Ci siamo organizzati in gruppi e pare proprio che ci sia uno scollamento tra la popolazione e chi governa la Russia, nessuno è contento, quello che tutti vogliono è stare in pace e tranquilli. Il nostro popolo non segue le linee di frontiera. Nel mio corpo e in quello della mia famiglia, come in quella di tante altre, non si può dire se ci sia più sangue russo o ucraino. È vero, siamo due popoli distinti, ma le nostre storie si sono sempre incrociate: anche mia nonna era ucraina, mentre mio nonno era russo. Si sono conosciuti durante la Seconda Guerra entrambi impegnati nella lotta contro i nazisti. Ora in Ucraina i miei parenti amici e fratelli sono ostaggio di una guerra tra altri parenti, amici e fratelli».

Che il conflitto finisca

«Il mio sogno, la mia speranza è uguale a quella di tutti gli altri: che il confitto finisca al più presto, poter ritornare in Ucraina e trovare i miei cari sani e salvi e intatta la mia casa. L’obiettivo che mi sono posta è quello di riunire la famiglia, sarebbe bello riuscirci per Natale». In fondo, cosa cambia che si festeggi il 25 dicembre o il 7 gennaio? Nulla se si può trascorrerlo insieme. In pace.

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