Pierina e gli altri Comaschi d’America

Noi e la storia Anche il Lario è stato terra di emigranti. Molti di loro raggiunsero il successo. E qualcuno tornò

Per alcuni era il tentativo di costruirsi un futuro migliore. Per altri, rappresentava la ricerca di un’occupazione meglio pagata. Per altri ancora, invece, la motivazione era cercare un posto dove sopravvivere un po’ meglio di prima.

In anticipo di un secolo e mezzo sugli attuali grandi movimenti di popolazione dall’Africa verso l’Europa, l’Italia e Como (basti pensare all’estate del 2016), il Lario è stato terra di emigranti.

Una buona fetta di popolazione, soprattutto a inizio Novecento, scelse gli Stati Uniti. Furono oltre tremila, infatti, a lasciare il lago per spostarsi in America del Nord e a sbarcare quasi tutti nel porto di Ellis Island, a New York.

Le sorelle Colonna

Proprio sull’isolotto, un tempo stazione d’ispezione, è stato creato il museo dell’immigrazione: grazie al suo sito internet oggi è possibile rintracciare una buonissima parte dei passeggeri di quei grandi piroscafi stracolmi di umanità. È facile trovare qualcuno col proprio cognome, segno di come parecchie famiglie abbiano avuto a che fare con le migrazioni, il fenomeno più antico del mondo. A bordo de La Touraine, partito da Le Havre, ci fu per esempio Carlo Lucini, residente a Como. Sposato, a 38 anni, decise di partire per il “nuovo mondo”: ci arrivò il 24 gennaio 1910. Non fu l’unico a cercare fortuna negli Usa. A questo proposito, viene in soccorso una tesi di laurea del 2000 realizzata da Iris Zoanni e consultabile in biblioteca a Como. Grazie alle testimonianze dei parenti, è stata ricostruita la storia delle tre sorelle Colonna. La maggiore, Pierina, pescò la pagliuzza corta e partì per prima per gli Stati Uniti, raggiungendo un cugino emigrato lì anni prima. Venne raggiunta dalla famiglia: a New York, la sorella Antonietta vide un laboratorio alla ricerca di giovani in grado di realizzare frange per scialli, proprio il lavoro svolto nel capoluogo, purtroppo quasi scomparso a causa dei cambiamenti nel mondo della moda. Uno sbocco lavorativo insperato.

Peraltro, a questo proposito, è bene ricordare come gli abitanti del Lario non vengano collocati nel quadro classico dell’emigrazione italiana, fortemente influenzata dallo stereotipo del migrante proveniente dal Mezzogiorno. Fra i comaschi ci furono molti partenti con in testa progetti di piccola imprenditoria. Per questo, si definivano lavoratori fuori dall’Italia piuttosto che emigrati “definitivi”. Per le stesse ragioni, la maggior parte di loro rientrava in patria appena raggiunta una certa solidità economica.

La silk mill di Ratti

Un caso d’imprenditorialità comasca riguarda Giuseppe Ratti, raccontato peraltro in un articolo de La Provincia datato 1906. Il tessitore, originario di Rogeno, emigrato negli Usa nel 1879, fondò il suo primo opificio a West Hoboken. Nel 1888, l’imprenditore decise di spostare la propria attività in un luogo più favorevole e scelse Bloomsburg in Pennsylvania, per via della vicinanza con le miniere di carbone e il fiume Susquehama. La silk mill di Ratti contava ben 400 dipendenti, con una netta prevalenza femminile. Negli anni successivi, il comasco inaugurò altri due stabilimenti, mentre nel 1906 i lavoratori erano oltre mille e il suo patrimonio superava i due milioni di dollari. Non solo: entrò a far parte del direttivo di due banche locali e dell’Italian american trust di New York. Inoltre, alla fine del 1905, fece costruire a Bloomsburg un ospedale modello.

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