Quel lungo minuto “di rumore”
in tutte le scuole d’Italia e un sondaggio per 600 studenti comaschi

Il tema Affrontare l’educazione all’affettività e alla sessualità a scuola è un’urgenza sempre più sentita dai più giovani. Lo rivela anche un sondaggio che abbiamo sottoposto a 600 studenti comaschi

Sarà stata l’ossimorica concomitanza dell’omicidio di Giulia Cecchettin con la giornata mondiale contro la violenza sulle donne a contribuire alla mobilitazione generale, o i vertiginosi dati dei femminicidi, che con Giulia, solo nel 2023, hanno superato la tripla cifra. O ancora l’età della ragazza, prossima alla laurea, troppo giovane perché qualcuno le strappasse il futuro, come Elena Cecchettin, la sorella, ha chiaramente detto: «Filippo ha deciso di chiudere la vita di mia sorella e non aveva il diritto di farlo (...) non è nessuno per avere questo potere e non doveva prenderselo».

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All’appello di Elena la risposta degli studenti, comaschi compresi, è stata immediata: tra il 24 e il 25 novembre numerose scuole hanno accolto l’iniziativa del minuto “di rumore”, sono stati appesi striscioni con scritto «Se domani tocca a me voglio essere l’ultima» a caratteri cubitali dagli alunni del Monnet, esposte panchine verniciate di rosso dai ragazzi del Giovio e del Melotti; in centinaia hanno partecipato alla manifestazione di Milano e al presidio in Piazza San Fedele e a questo giro hanno il volto di Giulia i dibattiti nelle assemblee d’istituto e gli incontri formativi coordinati da esperti e forze dell’ordine, volti alla sensibilizzazione, al riconoscimento dei campanelli d’allarme e alla riflessione nell’ottica dell’adesione a una battaglia civile che ci vede inevitabilmente protagonisti.

Ciò emerge anche dal sondaggio che ha preso in esame 600 ragazzi comaschi: «Giulia e Filippo saremmo potuti essere noi», così commenta qualcuno in forma anonima. Che si tratti di anni in più o in meno, sono pochi quelli che anagraficamente li separano da Giulia e Filippo: sarebbero potuti essere loro. Sin dalla prima notizia della scomparsa avevamo seguito la vicenda con il fiato sospeso, perché in fondo, «lo sapevamo tutti». La tragedia ha portato a un’analisi di responsabilità del sistema educativo e culturale, che prima d’ora era stata respinta in maniera difensiva, perché non si tratta di atti isolati né dal contesto socio-culturale, una società patriarcale che rende possibile le micro-violenze, né tantomeno dalla biografia di chi abusa. Ed è qui che si inserisce la pretesa degli studenti di ricevere un’educazione affettiva, sessuale, identitaria che educhi al rispetto, alla gestione delle emozioni, al contatto con la realtà: il femminicidio è solo la punta dell’iceberg.

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