Se il benessere passa anche dal ritmo di un tamburo (giapponese)

Taiko È comasca una delle insegnanti di “tamburi giapponesi”: «Grazie al suo suono forte e ipnotico, il tamburo veniva ritenuto il pulsare della comunità. La funzione principale era quella di dare coesione sociale, una forma di benessere condiviso»

I grandi tamburi giapponesi tra ritmo, interazione, ritualità e benessere. Oggi il taiko è parte di quelle arti nipponiche definite tradizionali che pur in continuo rinnovamento e arricchimento, sembrano gettare un ponte su un ancestrale passato. «In Giappone i tamburi sono stati usati fin dall’alba dei tempi per aspetti legati al benessere: chiamare la divinità e intrattenerla, ma anche unire la comunità che una volta all’anno in ogni villaggio, danzava insieme al ritmo dei tamburi - spiega Chiara Codetta performer e insegnante di taiko - Grazie al suo suono forte e ipnotico, il tamburo veniva ritenuto il pulsare della comunità. La funzione principale era quella di dare coesione sociale, una forma di benessere condiviso».

Ricerche e dati obiettivi dimostrano che suonare il taiko, che significa “tamburo” in giapponese, apporta molti benefici: «Potenzia la coordinazione e la presenza, ovvero il fatto di essere consapevoli del proprio corpo attraverso un’esperienza che non è solo cognitiva ma anche emotiva. I tamburi sono grandi e hanno un suono molto potente, un’esperienza che coinvolge tutti i sensi a esclusione di gusto e olfatto».

Il taiko è una pratica di insieme: «Prima c’è un livello individuale, la propria fisicità e sfera cognitiva, poi c’è l’interazione con gli altri. Il taiko viene utilizzato per esempio per fare team building nelle aziende. In California, pioniera nell’uso del taiko a scopo terapeutico, è adottato nel trattamento dei sintomi del Parkinson, nel disagio sociale e psicologico e nell’aiuto all’infanzia». Chiara Codetta ha lavorato per sei mesi all’interno del manicomio di San Bernardino a Los Angeles con il maestro Tom Kurai anche abate zen, che utilizzava meditazione e tamburi nell’affiancamento alla cura dei disturbi psichiatrici dei criminali. «Il taiko è stato impiegato anche in un progetto a Milano nei quartieri delle periferie. I ragazzi più esposti al problema delle gang e della violenza, i più grandi ed esuberanti, hanno trovato nel taiko qualcosa in cui concentrarsi e imbrigliare l’energia che sarebbe altrimenti diventata distruttiva».

L’aspetto del benessere è ancora più interessante quando la funzione terapeutica non è così esplicita, ma ci si trova in presenza di blocchi emotivi o insicurezze. «La persona che all’inizio è scoordinata e fatica a tenere una pulsazione comune, con la pratica migliora, il suo corpo impara cose nuove, in realtà il suo cervello impara cose nuove e le sue capacità cognitive migliorano. Le persone molto chiuse, iniziano suonando piano poi si aprono, guardano negli occhi gli altri ed escono attraverso il taiko dal loro guscio. Oppure il contrario, soggetti arroganti che non riescono a stare nel gruppo che con il tempo mettono la loro energia al servizio del gruppo».

A Como Chiara Codetta tiene un corso di taiko al Nerolidio il giovedì sera e in collaborazione con Taiko Lecco e Giorgio Galimberti, sta conducendo un laboratorio di plesso con la primaria di Inverigo. In passato era stato attivato il progetto Gemini con il Comune di Como, con lo scopo di portare le culture altre nelle scuole.

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