Sport e promozione umana: l’Inter club Kayunga, fondato da un medico comasco in Uganda

La storia Era il 2008 quando le maglie nerazzurre approdarono in Uganda con un progetto di responsabilità sociale d’impresa della società nerazzurra

Se l’obiettivo 17 dell’Agenda 2030 dell’Onu mira, tra le altre cose, a creare relazioni e partnership in grado di sostenere la condivisione di competenze per favorire uno sviluppo sostenibile, c’è chi, già da 25 anni, batte questa strada con risultati considerevoli.

Si tratta di Inter Campus, il progetto di responsabilità sociale d’impresa della società nerazzurra, che utilizza lo sport come mezzo di promozione umana, con l’obiettivo di supportare la popolazione dei paesi in via di sviluppo. Un’attività intrapresa già nel 1997 in Brasile e poi diffusasi in 30 paesi del mondo, tra cui l’Uganda, dove un ruolo chiave è stato giocato dal medico comasco Italo Nessi, già tra i fondatori, proprio nel paese africano, dell’Inter Club Kayunga.

Un progetto della squadra del cuore

«Esercitavo lì la mia professione con l’organizzazione non governativa Medici con l’Africa Cuamm e tanti dei miei colleghi erano interisti - racconta - Volevamo fare qualcosa che si staccasse un po’ dall’ambito sanitario e si riflettesse sul sociale. Conoscendo già il progetto della nostra squadra del cuore, ci siamo messi in contatto con i responsabili per introdurlo anche da noi».

«Abbiamo promesso ai bambini allenamenti con la maglia dell’Inter, in cambio loro dovevano andare a scuola»

Così, nel 2008, è nato Inter Campus Uganda, che ha ottenuto risultati importanti fin da subito, grazie al modello già consolidato. «Abbiamo operato una sorta di ricatto sociale, spingendo i bambini a scuola in cambio di allenamenti con la maglia dell’Inter - racconta il project manager Massimo Seregni - In questo modo, abbiamo attirato centinaia di bimbi tra i 6 e i 13 anni, favorendone l’alfabetizzazione. Al contempo, il Cuamm ha potuto insegnare le norme di prevenzione dalle malattie dell’acqua putrida, migliorando la situazione sanitaria». Istruzione, salute, ma non solo. Il calcio si è rivelato un formidabile mezzo di promozione umana, grazie alla sua capacità di sviluppare tutte le aree cognitive dei bambini e di insegnare il rispetto delle regole e dell’altro. Valori che, di riflesso, sono stati trasmessi anche al resto della popolazione, per via della fama e del potere del brand nerazzurro. «In un ipotetico tridente di benefici portati dalla nostra attività, accanto al supporto ad altre realtà e alla dimensione educativa, c’è anche la categoria degli incerti - constata il project manager - Negli anni abbiamo raggiunto risultati che non ci aspettavamo. In Iran, ad esempio, abbiamo visto le donne allo stadio, quando solitamente era proibito. In Marocco, invece, l’amministratore locale ha fatto arrivare l’elettricità al villaggio in vista del nostro arrivo».

Condivisione con la popolazione locale

La forza del modello di Inter Campus, però, sta nella formazione dei formatori. Grazie anche al supporto dell’azienda Mp Filtri, che sostiene i progetti in Uganda, almeno due volte l’anno l’organizzazione si reca sul posto per preparare adeguatamente istruttori ed educatori. Ed è proprio la condivisione di competenze con la popolazione locale a rendere l’attività sostenibile e futuribile. «È sempre stato uno degli obiettivi della famiglia Moratti - dichiara Seregni - Vogliamo costruire qualcosa che possa essere portato avanti nel tempo. Abbiamo avuto la prova della bontà del nostro lavoro durante la pandemia. I progetti sono proseguiti senza il bisogno del nostro intervento: abbiamo ripreso tutto da dove l’avevamo lasciato. Credo che creare partnership per fornire competenze alla popolazione locale si la via da seguire per permettere ai Paesi in via di sviluppo una crescita sostenibile».

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