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Martedì 22 Luglio 2025
Tra le ferite dell’Uganda pensando al futuro
Storie di copertina La missione di un gruppo di volontari comaschi, legati alla parrocchia di Rebbio: «Quanta voglia di vivere»
Como
Altro che safari o villaggi turistici: scenari completamente diversi hanno colorato le vacanze di Pasqua di Alice Viganò e Luca Costantino. Sulle orme dei progetti delle Suore Missionarie Comboniane, i ragazzi si sono messi in viaggio per l’Uganda. Alice, educatrice in un centro per persone con disabilità, e Luca, volontario attivo a Rebbio e Cascina Tavorella, hanno risposto con entusiasmo alla proposta dell’associazione Don Giusto della Valle. Nel giro di neanche tre settimane, dal 18 aprile al 5 maggio, i due ragazzi hanno vissuto la quotidianità locale con mezzi spartani e pochi comfort. A Kampala, la capitale, sono stati accolti dalle Suore Comboniane, in tempo per partecipare alle celebrazioni pasquali.
L’ultima tappa è stata Yoro, in un luogo difficile da raggiungere
«Mi ha colpito la partecipazione da parte della comunità: ogni fine settimana un coro diverso animava la liturgia». Lì le suore portano avanti progetti educativi, assistono donne e bambini colpiti dall’Hiv e promuovono iniziative volte alla sensibilizzazione in tema ambientale ispirate all’enciclica “Laudato Si’”, per affrontare l’emergenza dello smaltimento dei rifiuti. Ma è stata la visita al Museo dei Martiri Missionari a lasciare un segno indelebile. «Le torture vengono descritte scena per scena da statue a grandezza naturale. Affiancate dal racconto della guida, il risultato è un quadro dettagliatissimo e toccante. Usciti di lì, era impossibile non guardare le persone intorno a noi con occhi diversi», confida Alice.
Con questo carico emotivo, i due sono arrivati a Gulu, dopo un incidente e dieci ore di viaggio. Ad attenderli, padre Maurizio Balducci, missionario di Venegono, con cui hanno visitato vari progetti, a partire dal Centro Spirituale Comboniano St. Daniel, un luogo immerso nel verde dedicato alla formazione per laici e religiosi; a seguire, il centro Comboni Samaritans, dove ex bambini soldato costretti ad uccidere membri delle loro stesse famiglie per poi essere ripudiati e lasciati soli, trovano uno spazio per rimettere insieme i cocci. «Molti si ritrovano a commettere furti o a prostituirsi, c’è chi finisce nel tunnel dell’abuso di sostanze e di alcool», spiega Alice. Educatori e psicologi offrono percorsi di recupero basati su cultura, gioco, danza, informatica e sviluppo delle life-skills, con l’obiettivo di reinserirli a scuola. Ogni giorno, poi, viene garantito loro un pasto caldo e la possibilità di lavarsi. «Luca ha deciso di adottare a distanza un ragazzo conosciuto lì per permettergli di continuare a studiare - racconta Alice - Bisogna puntare su queste persone: sono gli ultimi degli ultimi, ragazzi mai aiutati prima e che hanno sempre e solo vissuto nella violenza».
Anche la casa per bambini St. Jude è un pilastro fondamentale in un paese dove la disabilità è vissuta come condanna e chi ne soffre viene nascosto e disprezzato. Si crea un contesto sereno che consente ai bambini di crescere in maniera protetta: un villaggio di casette, ognuna gestita da una “mamma” assunta dall’associazione che ha in carico fino ad otto bambini con gravi disabilità. «Un’équipe di professionisti visita regolarmente i villaggi per supportare le famiglie e, dove possibile, accoglierle temporaneamente nella casa per formarli alla cura autonoma dei figli». Da lì, stipati in un taxi-bus da 21 persone su 12 posti, Alice e Luca sono giunti ad Arua, dove, più che altrove, hanno messo in gioco le loro competenze: Luca, esperto in ambito agricolo, ha dato consigli su come migliorare la gestione degli orti, degli animali, l’organizzazione degli spazi. Alice, invece, ha lavorato con un gruppo di bambini, proponendo attività ludiche ed educative. «Non è stato semplice: abituati com’erano ad un’educazione frontale e poco dinamica, ci è voluto un po’ di tempo prima che si lasciassero coinvolgere da giochi, colori, musica e movimento. Alla fine, erano tutti entusiasti». Prima di ripartire, Alice ha lasciato a suor Felicité materiali e strumenti per continuare il lavoro. Yoro, cittadina remota e difficilmente raggiungibile, è stata l’ultima tappa. Qui le suore Comboniane hanno fondato una scuola primaria e una scuola professionale aperta anche a rifugiati dal Sud Sudan. L’obiettivo è chiaro: dare loro la possibilità di trovare lavoro altrove e costruirsi un futuro. Si opera anche nella direzione di un’autosufficienza reale: orti, animali, pozzi e iniziative di riforestazione. Rinunciare ad ogni tipo di comodità è stata una scelta consapevole. «Abbiamo preferito vivere l’Uganda come la vive chi ci abita - racconta Alice - anche se significava viaggiare stretti, aspettare ore, affrontare imprevisti». Più che le destinazioni, sono stati gli incontri a segnare il viaggio: le danze improvvisate, le conversazioni con ragazzi ugandesi pieni di domande e sogni. «Questo viaggio mi ha aiutata a capire che sono capace di molto più di quanto credevo. Mi ha dato forza, umiltà e nuove prospettive. Mi ha insegnato che anche i problemi che sembrano lontani ci riguardano da vicino. E che, a volte, basta mettersi in cammino per scoprirlo».
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