Una casa per tutti, il volontariato
ha vinto ancora

Caritas Un progetto pensato per chi non ha un tetto. Cronaca di un successo che ha coinvolto nove parrocchie

Un’esperienza di accoglienza per valorizzare il singolo e iniziare con lui a scrivere un futuro nuovo, un futuro migliore. Così è riassumibile – in poche parole – l’esperienza di “Progetto Betlemme”, quello che il vicedirettore della Caritas diocesana di Como Beppe Menafra definisce «una scommessa vinta».

Di fronte a un’emergenza dalle dimensioni sempre più consistenti – qual è, effettivamente, anche nella nostra realtà la presenza di persone senza fissa dimora –, nei mesi più freddi dell’anno, da qualche inverno è partita in alcune parrocchie comasche questa sperimentazione. «E, devo riconoscere, siamo davvero contenti del risultato: è un’occasione di crescita per tutti».

Da una parte, «riusciamo a garantire un posto letto al caldo a diversi senzatetto della nostra città», come aggiunge il diacono Menafra. Dall’altra, però, «è la parrocchia stessa che ne trae beneficio: trattandosi di un progetto nuovo, specialmente nelle Comunità pastorali riesce a coinvolgere e unire tante persone per un obiettivo comune».

Nove parrocchie, più di 200 volontari: numeri – questi ultimi – in crescita, anno dopo anno. «È un bel segnale di attenzione alle povertà del territorio. Il formato è quello del dormitorio, ossia l’accoglienza notturna, ma in un contesto più domestico e senza personale fisso durante la notte. Gli ospiti di “Progetto Betlemme”, infatti, sono persone tranquille e autosufficienti: alle parrocchie è chiesto soltanto di accoglierli di sera e di congedarli alla mattina».

Un impegno, insomma, di mezz’ora al giorno – un’oretta al più – su turni settimanali di coppie di volontari: ci sono marito e moglie, due amiche, padre e figlio, per fare alcuni esempi. «L’alta disponibilità di collaboratori permette di pianificare al meglio la copertura dei momenti di accoglienza e di saluto al mattino. Consente, insomma, a tutti di dare il proprio contributo, in maniera non eccessivamente impegnativa». Per Menafra, il punto forte di “Progetto Betlemme” sta nel fatto che – con un’esperienza di questo tipo – si riesce «a instaurare un rapporto di fiducia con tutti gli ospiti: non numeri, ma persone, con una storia, un vissuto e un futuro da scrivere». Partito in via sperimentale nell’inverno 2019-2020 a Sant’Agata, in questi anni di pandemia si è rivelato, peraltro, una vera e propria fortuna. «Il bello è che c’è una comunità, dietro, che si prende cura di questi fratelli meno fortunati, che si fa carico delle loro necessità e che sceglie di camminare per un certo tratto di strada insieme».

Menafra tiene, comunque, a sottolineare «che il progetto sta in piedi soltanto se c’è – com’è stato, fortunatamente, finora – disponibilità da parte dei parrocchiani come volontari: se dovesse diventare l’ennesima fatica che addossiamo ai parroci, perderebbe il senso con cui è nato».

Il nome, tra l’altro, è emblematico. «Betlemme ricorda il Natale, ossia il periodo in cui si attua il progetto. Ma poi, ancor di più, ci riporta alla mente Maria e Giuseppe che a Betlemme, appunto, non hanno certo trovato una sistemazione ideale per dare alla luce Gesù», sempre Menafra.

Chissà come sarà il futuro. «Da parte di Caritas – conclude – siamo assolutamente favorevoli a proseguire, visto l’ottimo successo riscosso finora. Alcune parrocchie in questi mesi mi hanno contattato per partire l’inverno prossimo: è ciò che volevo perché, se il desiderio nasce dal territorio, sicuramente ci sarà molta più disponibilità».

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