La carenza di lavoratori tra Como e Varese: «Occorre fermare la fuga in Ticino tagliando i costi del lavoro lungo il confine»

Intervista L’assessore regionale agli Enti locali, Massimo Sertori, illustra la proposta sulla distribuzione dei ristorni. «I diritti acquisiti non si toccano, ma chiediamo minori oneri a carico delle imprese e stipendi più alti»

«Il nostro ragionamento, politico e pragmatico, parte da un dato di fatto e cioè che nella fascia di confine di Como, Varese, in quota minore Lecco e sicuramente in modo accentuato anche a Sondrio si ha a che fare con una carenza importante di forza lavoro».

La chiacchierata con l’assessore regionale agli Enti Locali - con delega ai Rapporti con la Confederazione Elvetica - Massimo Sertori prende le mosse da qui. Nel concreto la proposta avanzata a doppia firma con il Governatore Attilio Fontana e in stretto raccordo con il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti è quella di attingere risorse dal nuovo corso dei ristorni (gli attuali trasferimenti ai Comuni ed alle realtà di confine non subiranno alcuna decurtazione, tanto per essere chiari) per ridurre il costo del lavoro lungo la fascia di confine, frenando l’emorragia di lavoratori verso il Ticino, dove i permessi “G” attivi al 30 settembre hanno sfiorato quota 78 mila.

Assessore una proposta quella di Regione Lombardia che ha aperto un nuovo fronte nelle complesse dinamiche di confine. E’ il momento di porre concretamente un argine all’esodo di posti di lavoro nella vicina Confederazione?

«I numeri ci dicono che l’attrattività della Svizzera si è fatta ancor più marcata in alcuni settori, dalla sanità, alla ristorazione al turismo in generale. Registriamo su questo lato del confine casi di ristoranti che riducono i posti a sedere per carenza di personale. Sul fatto che la sanità, sempre in tema di personale, sia in forte affanno lo si nota da tempo e la forza attrattiva della vicina Confederazione anche in questo strategico settore è certificata dai numeri. Questo per dire che il tema è importante e sempre più di stretta attualità».

Che fare dunque?

«Noi abbiamo messo sul tavolo una proposta operativa che parla di minori oneri finanziari per le aziende e stipendi più alti per i lavoratori. Faccio un passo indietro però, andando all’accordo tra i due Paesi già siglato e che ha preso spunto da una lettera del presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana e del presidente (di turno) del Governo ticinese Christian Vitta. Per gli attuali frontalieri nulla muta sulla fiscalità sino a quando andranno in pensione. Fiscalità che è e rimane quella attuale. Dal momento in cui il nuovo accordo entrerà in vigore, scatta un nuovo sistema di fiscalità per i frontalieri assunti da quella data in poi».

Lo hanno definito un sistema di fiscalità “binario”.

«Sistema che parte da un principio fondante importante e cioè che i diritti acquisiti non si toccano. L’attuale frontaliere che ha costruito i propri programmi sapendo di poter contare su un’entrata finanziaria di un certo tipo potrà continuare nel corso tracciato. Ripeto, i diritti acquisiti non verranno in alcun modo toccati. Il nuovo accordo prevede però a livello generale un cambio delle regole d’ingaggio e cioè che una parte importante di quel gettito “in più” destinato all’Italia andrà a Roma. E qui subentriamo noi».

In che modo?

«La richiesta è chiara. Quel gettito deve essere redistribuito nei territori di confine. Ciò significa che al netto dei ristorni - il che significa che nulla si dovrà toccare rispetto a ciò che oggi viene versato a Comuni, Province e Comunità montane -, il maggior gettito generato dalle nuove regole d’ingaggio per i nuovi frontalieri servirà, in base alla nostra proposta, a ridurre il cuneo fiscale lungo la fascia di confine. Si tratta di una proposta operativa che arriva dagli stessi territori che si interfacciano con la Svizzera. A noi piacerebbe che una parte di quel gettito “in più”, magari integrato da ulteriori risorse del Governo, venga utilizzato per abbattere gli oneri contributivi ai lavoratori, garantendo buste paga più robuste».

Il che potrebbe portare in dote un riequilibrio tra domanda e offerta di posti di lavoro nel filo diretto che storicamente lega Lombardia (in primis) e Ticino.

«Di sicuro, renderebbe molto più competitive le nostre zone di confine, con un effetto tangibile legato ad uno stipendio più pesante in busta paga ai lavoratori occupati su questo lato della frontiera. Il che dovrebbe, per diretta conseguenza, meno attrattiva soprattutto in alcuni settori la Svizzera. Questo è il principio che guida la proposta formulata da me e dal presidente Attilio Fontana e illustrata a Bellinzona al Governo ticinese».

Dunque, ora si tratta di mettere uno dopo l’altro al loro posto tutti i tasselli. La rotta di Regione Lombardia su questa importante partita è dunque tracciata?

«Il tema della tassazione delle imprese in questo caso di confine e degli stipendi dei lavoratori è da trattare con grande attenzione.

Il Governo ticinese ha nuovamente rimarcato - ad esempio - che il dumping salariale resta in cima alle criticità, perché pur alti gli stipendi dei frontalieri in Ticino spesso si tratta di cifre sotto soglia per quel contesto lavorativo. Il nuovo accordo fiscale, sul fronte ticinese, dovrebbe attutire l’impatto di questa situazione. Noi dobbiamo intervenire con le risorse “in più” generate dall’accordo, che non devono restare a Roma, ma essere redistribuite, come annunciato poc’anzi, sui territori di confine».

Al nostro giornale, subito dopo l’incontro di Bellinzona, il presidente Attilio Fontana ha dichiarato che questa proposta operativa legata all’abbattimento del cuneo fiscale ha sicuramente maggiore impatto e soprattutto maggiore possibilità di trovare degna concretizzazione rispetto alla Zes (la Zona Economica Speciale). Ricordando che già nel 2014 Regione Lombardia aveva approvato l’istituzione della Zes. Qual è il suo parere in proposito?

«La Zes ha sicuramente elementi di grande attualità, come quello della “burocrazia zero” per le imprese. E’ chiaro che in questo ambito toccherà allo Stato italiano fare l’ultimo passo e ci sono passaggi politici in questo ambito tutt’altro che semplici e scontati. L’obiettivo è ridurre in tempi celeri il cuneo fiscale, garantendo così di compensare almeno in parte la richiesta sempre più attuale di manodopera da parte della Svizzera. In questo contesto, la nostra proposta potrebbe avere un iter più snello».

Qualche anticipazione?

«Un provvedimento del ministero dell’Economia potrebbe - esempio calzante - portare avanti in tempi stretti questa iniziativa. Un conto è approvare una Legge, un altro conto è dar corso ad un provvedimento del ministero. Argomento peraltro con cui più volte mi sono già confrontato con l’attuale ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, che ben conosce la situazione dei nostri frontalieri e delle zone di confine, criticità comprese. Il ministro Giorgetti condivide sia la necessità di un intervento che le soluzioni da noi proposte. Per descrivere quanto necessario sia questo provvedimento cito l’esempio di Livigno».

Ovvero?

«Qualche giorno fa ero a Livigno. Parlando con il sindaco è emerso che qualcosa come 600 lavoratori, a fronte del fatto che a cavallo tra 2020 e 2021 gli impianti sciistici sono rimasti chiusi in Italia mentre in Svizzera erano aperti, si sono trasferiti a lavorare oltreconfine, rimanendo poi lì a lavorare. Al netto della situazione contingente dettata dalle differenti scelte effettuate dai due Stati, la differenza di salario ha fatto il resto».

Tempi per dar corso al provvedimento?

«Direi che in sei mesi potremmo avere un quadro maggiormente esaustivo della situazione. Confido che il proficuo dialogo con il ministro Giorgetti - alle prese in queste settimane con il bilancio dello Stato - possa dare esito in tempi celeri a quanto le zone di confine stanno chiedendo da tempo. Rimarco questo filo diretto instaurato tra Regione e Governo all’insegna del massimo pragmatismo».

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