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Lunedì 14 Luglio 2025
Artigianato, non solo mani: mente e futuro per i giovani
Lucio Poma, docente dell’Università di Ferrara, enfatizza “sapere” e “visione” del settore per attrarre i ragazzi. «Necessario superare pregiudizi culturali, far conoscere le realtà produttive moderne e valorizzare i talenti»
L’artigianato come opportunità per le nuove generazioni di riscoprire sé stesse e il proprio valore, ma ci sono ostacoli da affrontare e superare. Lucio Poma, docente di Economia applicata all’Università degli Studi di Ferrara, è intervenuto lunedì scorso all’assemblea di Confartigianato Como nella cornice di Fondazione Minoprio. Proponiamo alcuni estratti del suo intervento che è partito da una domanda: perché un giovane dovrebbe iniziare un percorso all’interno del comparto artigiano? «Per rispondere dobbiamo prima capire chi sono i giovani oggi e che cos’è davvero un’impresa artigiana».
Poma è partito dall’impresa artigiana sottolineando che non si tratta solo di mani che lavorano, plasmano, costruiscono e riparano
Non dobbiamo cadere nell’equivoco che l’artigianato sia solo “fare con le mani”. Per i Greci, techné era l’arte del pensare, prima ancora dell’agire. L’artigiano non è solo colui che sa piallare bene il legno o stringere un dado, ma colui che conosce profondamente ciò che crea, prima ancora di realizzarlo. È una persona che vede la libreria in una stanza prima di costruirla, che capisce come deve essere aggiustata una scarpa, con la ragione e con la testa. Se riduciamo l’artigiano alla sola manualità, non potremo mai attrarre i giovani, ma se mostriamo l’artigianato come qualcosa di più grande: un sapere, una visione, un’idea, allora sì che i giovani saranno interessati.
Paura e angoscia
La paura è qualcosa che si ha di fronte a un pericolo noto, un cane aggressivo o una persona minacciosa. L’angoscia, invece, nasce da ciò che non si conosce, da ciò che è incerto. Questa angoscia non è solo loro, è anche nostra. Non siamo più adulti forti che accompagnano i giovani, siamo tutti dentro una grandissima incertezza. E in questo contesto, l’artigianato può rappresentare una risposta, una via, una certezza concreta, ma servono consapevolezza e visione.
Cambio di attitudine
Molti giovani vedono il lavoro solo come mezzo per ottenere soldi da spendere altrove, per “realizzarsi” fuori dal lavoro in altri ambiti. Invece, per un artigiano, il lavoro è già parte della realizzazione di sé. Non si tratta di una seconda scelta, ma di un percorso ricco di significato. Un artigiano crea, personalizza, lascia un’impronta unica. Non fa prodotti in serie, fa qualcosa che ha un senso. Il suo obiettivo è far bene le cose. Qui si apre una questione difficile, un problema culturale forte: i giovani hanno fretta. Vengono a fare uno stage per fare esperienza, ma dopo otto mesi sono già altrove. Vogliono provare tante cose, ma non approfondire. Per capire un mestiere artigiano però, come avviene nel mondo della ricerca e dell’università, servono tempo, costanza e motivazione. Non è una questione tra due generazioni, è una questione di due diversi modi di concepire il mondo.
Proposta concreta
I giovani hanno bisogno di costruire qualcosa di proprio e l’artigianato lo permette. Offre un senso, un’identità. Un ragazzo che personalizza una scarpa non lo può fare in una grande fabbrica, nell’impresa artigiana sì, ma ci sono diversi ostacoli.
Il primo problema da affrontare è quello di ridare valore allo status artigiano. Se chiedo a un genitore se farebbe frequentare al proprio figlio un corso da tornitore, dove il 90% degli studenti trova lavoro già dopo il primo anno, spesso la risposta è: “No”. E non sono solo i ragazzi a pensarla così, sono anche i genitori. Dobbiamo riqualificare lo status dell’istruzione tecnica e professionale. In Emilia-Romagna ci sono esempi eccellenti. Organizzare un Its in collaborazione con realtà come Dallara o Lamborghini fa davvero la differenza. Perché se un ragazzo sceglie un percorso da meccanico o montatore e si ritrova a studiare in un contesto dove sono presenti anche “perle” come Ferrari, Maserati, Pagani o Ducati, quell’esperienza non è solo qualificante, è un vero e proprio terno al lotto. Questi nomi fanno da catalizzatore, danno prestigio, attrattiva e rendono il percorso più desiderabile, sia per le famiglie che per i ragazzi stessi.
La conoscenza
Molti di loro non ne hanno mai visitata una che sia artigianale o industriale, ne hanno un’immagine distorta, vecchia, da “Tempi moderni” di Charlie Chaplin. Oggi, invece, le imprese sono pulite, tecnologiche ed efficienti. Forse dovremmo anche smettere di usare il termine “operaio”, che oggi non descrive più la realtà. In molte aziende gli operatori si muovono con un iPad in mano, monitorano macchinari digitali, analizzano dati in tempo reale. Se non mostriamo ai ragazzi questa trasformazione, se non li portiamo dentro queste realtà, non lo sapranno mai, e continueranno ad avere un’idea vecchia e distorta di cosa significhi davvero fare quel lavoro.
Il diritto all’errore
Le nuove generazioni hanno paura di sbagliare, si tratta di un blocco culturale profondo. Nei social tutto è perfetto, nessuno posta un fallimento, tutti mostrano solo successi, bei voti, macchine nuove, è un mondo dove non si sbaglia, dove l’errore non esiste. E poi ci sono le famiglie paracadute, che intervengono troppo presto e troppo spesso. Sbagliare invece è parte dell’apprendimento, ed è parte del fare impresa, del fare artigianato. Un’impresa è per sua natura un rischio, un salto, una scommessa. Se il giovane non è pronto a mettersi in gioco, a fallire, allora avrà difficoltà ad affrontare qualsiasi percorso reale.
Senso e valore
L’impresa artigiana non si limita a produrre beni, crea anche valore sociale, e su questo i giovani sono molto sensibili. Non sempre sanno cosa vogliono, ma sanno quando qualcosa ha un senso. Credo fermamente che molti dei nostri giovani, indipendentemente dal titolo di studio, potrebbero dare un contributo enorme al mondo artigiano. Anche un dottorando, come un diplomato, può diventare un grande artigiano, se trova il suo spazio, ma dobbiamo parlare al cuore, farli sentire capaci, farli credere nel proprio valore. Solo così si superano le paure e si accende la passione. Un esempio concreto è il progetto Desi, un’iniziativa di Automobili Lamborghini e Ducati, realizzata in collaborazione con la Regione Emilia-Romagna e l’Ufficio Scolastico Regionale. Si tratta di percorsi formativi duali dedicati agli studenti delle scuole superiori, due anni in cui la formazione in aula si intreccia con l’esperienza pratica vissuta direttamente all’interno delle aziende coinvolte. Ciò che rende questo progetto davvero speciale è ciò che accade ai ragazzi, scoprono qualcosa di semplice, ma rivoluzionario: scoprono che valgono, che possono costruire, fare, riuscire, e questa consapevolezza cambia tutto.
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